L’Alta Corte del Kenya ha respinto l’istanza presentata, da Eric Gitari, attivista keniano Lgbt+, di depenalizzare i reati previsti dagli articoli 162 e 165 del vigente codice penale, che prevedono fino a quattordici anni di carcere per chi pratica: “carnal knowledge against the order of nature”, cioè: conoscenza carnale contro natura.
Il Codice Penale del Kenya è stato originariamente introdotto nel 1930 quando il Paese era una colonia britannica.
L’impero britannico introdusse per la prima volta leggi contro i “reati innaturali” e le “pratiche indecenti tra maschi” nel Codice Penale indiano del 1860. Successivamente le ha copiate nelle sue colonie in Africa.
Nel 2008 Human Rights Watch ha pubblicato un report intitolato “This Alien Legacy”. Il reportage traccia le origini delle leggi sulla “sodomia” nell’impero coloniale britannico, sottolineando che la loro introduzione era stata ispirata da una “missione di riforma morale – per correggere e cristianizzare le usanze locali’”.
Quando nel 1964 il Kenya divenne indipendente dalla Gran Bretagna, mantenne il Codice Penale. In altre parole, le sue leggi non sono mai state decolonizzate. Vengono addirittura difese come: “valori africani“.
Come spiega il report di Human Rights Watch, il campo di applicazione delle leggi si è ampliato nel corso dei decenni fino a includere la penalizzazione del sesso tra due donne che non era invece mai rientrato nella legge britannica.
Nel pronunciare la sentenza, la presidente della Corte, Roselyne Aburili, ha detto che “non esistono prove assolutamente certe che i membri della LGBTQIA siano nati con le caratteristiche sessuali da loro dichiarate”.
Gli attivisti LGBT + in Kenya sono stati “cautamente ottimisti” prima della sentenza di venerdì, Mercy Njueh della Commissione nazionale per i diritti umani e lesbiche (NGLHRC) in Kenya ha dichiarato: “Le nostre speranze sono oramai in frantumi”.
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