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L’incredibile storia di una coppia gay di Arezzo: sposati in Portogallo, rifiutati dal comune

Francesco e Francesco, una coppia di Arezzo, si sono sposati due anni fa in Portogallo. Per tanto tempo hanno atteso di potere ufficializzare la propria unione anche in Italia. Perciò, non appena la legge sulle unioni civili è entrata in vigore, ancora prima che uscisse il decreto ponte, hanno inviato una email al comune che ha risposto, in attesa, del decreto, di inviare la domanda come già avevano fatto altre coppie in altri comuni. Non potevano immaginare, i due ragazzi, che da lì in avanti sarebbe iniziata una sorta di via crucis, con tanto di viaggi in su e in giù per l’Italia, che non è ancora giunta a conclusione. Ma andiamo con ordine.

“Inizialmente – ha spiegato Francesco a Gaypost.it – abbiamo presentato i documenti necessari alla costituzione di una unione civile. Ci sembrava la via più facile, ma per correttezza abbiamo specificato che eravamo già sposati in Portogallo dal 2014. Quando la dirigente dell’ufficio di Stato Civile mi risponde all’email, una settimana buona dopo, il decreto ponte era stato emanato e anche le formule“.
Tutto sarebbe dovuto filare liscio, dunque, ma non è andata così. “La dirigente mi risponde che non sapeva se fosse meglio procedere con una nuova unione civile o con la trascrizione e che doveva informarsi – ha continuato Francesco -. Le ho fatto notare che la legge era già in vigore e che avrebbe già dovuto sapere tutto quello che c’era da sapere. Ho anche minacciato di denunciarla per omissione di atti d’ufficio”.

La minaccia di Francesco ha sortito l’unico effetto di far inviare una PEC al prefetto con la quale la dirigente chiedeva come muoversi. Tra i destinatari della PEC c’era anche la dirigente dei servizi demografici che risponde sospendendo la richiesta della coppia perché non sapeva cosa fare.
“Passano i giorni, circa dieci – continua il ragazzo – nei quali io faccio quello che avrebbero dovuto fare loro: mi informo. Chiamo diversi avvocati e associazioni e capisco che bisognava chiedere la trascrizione del matrimonio celebrato in Portogallo. Io e mio marito andiamo in comune e chiediamo di poter procedere con la trascrizione, ma ci rispondono che non hanno i moduli. Poi sostengono che non ci sono i decreti, quando il decreto ponte c’era già e in pieno vigore ed è fatto appositamente per potere iniziare in attesa dei decreti attuativi”.

Francesco e suo marito non si danno per vinti: vanno sul sito del comune di Milano e stampano il modulo che è stato predisposto proprio per le trascrizioni. Intanto è già l’8 agosto, due giorni fa. La coppia va di nuovo al comune, con il modulo, il proprio certificato di matrimonio e tutta la documentazione necessaria. I dipendenti, però, spiegano loro che esigono l’originale del certificato di matrimonio e non una copia e che deve essere accompagnato dalla traduzione giurata vidimata dal tribunale.
“Una pretesa assurda, perché il Portogallo aderisce alla Convenzione dell’Aia e a quella di Vienna secondo cui i certificati rilasciati dagli stati aderenti non necessitano di traduzione giurata per essere accettati” spiega ancora Francesco che nel frattempo aveva contattato l’Ambasciata del Portogallo a Roma che lo aveva rassicurato in tal senso aggiungendo che il certificato era già multilingua (in portoghese, inglese e francese). Al comune di Arezzo, però, insistono: serve la traduzione giurata in italiano.

“Lunedì stesso siamo andati al tribunale di Arezzo dove c’era il deserto – racconta il ragazzo -: nessuno a cui rivolgersi. Tramite l’Ambasciata portoghese, ottengo il numero di un perito traduttore che, però è in vacanza a Bari. Lo chiamo e lui si rende disponibile alla traduzione, dopo che gli spieghiamo la situazione, ma può farla solo a Bari”.
Neanche questo ferma la coppia: lunedì stesso partono per Bari dove raggiungono il perito che, nottetempo, traduce tutti i documenti. Martedì mattina sono tutti e tre al tribunale del capoluogo pugliese che appone il sigillo e certifica la traduzione. Francesco e Francesco ripartono per Arezzo e questa mattina si presentano di nuovo al comune, sicuri che questa volta, con tutti i documenti come li ha pretesi l’ufficio, le cose andranno diversamente.
Ma anche questa volta devono fare i conti con una realtà diversa.

“Arrivati al comune, l’addetta non si accorge nemmeno che la traduzione era vidimata dal tribunale e ci chiede dove fosse il traduttore – dice Francesco -. Siamo andati su tutte le furie e le abbiamo indicato il sigillo. Ma non è bastato neanche quello. L’impiegata ha ripetuto il solito refrain: loro non sanno come fare, non hanno i registri e sostiene che deve inviarli il prefetto (sono i comuni, in realtà, a dovere predisporre i registri, nda). A quel punto ci dice che tiene per sé i documenti in attesa di capire come muoversi”.
La coppia è esasperata e minaccia di chiamare i carabinieri. A quel punto, l’impiegata va dalla dirigente e poco dopo torna: “Ci ha rilasciato una ricevuta con il numero di protocollo in cui c’è scritto che trattengono i documenti e che hanno 90 giorni di tempo per procedere“.

Francesco e Francesco non credono alle loro orecchie. “Noi in meno di 48 ore abbiamo fatto i salti mortali per procurarci tutti i documenti che chiedevano, abbiamo speso dei soldi per il viaggio e per tutto il resto – commenta arrabbiato – e loro in tutto questo tempo ancora non si sono informati, non hanno predisposto i registri, niente di niente, quando avrebbero dovuto accogliere le richieste già dal giorno dell’emanazione del decreto ponte”.
Una rabbia comprensibile, quella dei due coniugi, che non intendono aspettare un giorno di più per vedersi riconoscere ciò che la legge sancisce.
“E se in questi 90 giorni dovesse succedere qualcosa a uno di noi – si chiede preoccupato Francesco -? E se fossimo stati più arrendevoli o non avessimo avuto la disponibilità economica per fare quello che abbiamo fatto?”.
Non resta che un’alternativa, alla coppia aretina: rivolgersi ad un avvocato e precedere con un esposto alla magistratura. “Aspettiamo ancora qualche giorno che passino le feste – assicura il ragazzo – e poi certamente procederemo con una denuncia. È inconcepibile che neanche davanti ad un legge in vigore si riconoscano i diritti. Non siamo disposti ad arrenderci per nessuna ragione“.

E pare che le cose non vadano meglio per chi chiede di costituire una nuova unione. “Questa mattina – racconta Francesco – abbiamo incontrato una ragazza che era andata prima di noi a chiedere informazioni per la sua unione. Le hanno risposto che per le unioni civili le sale dei matrimoni non sono disponibili e che dovrà accontentarsi dello sportello unico. In ogni caso, non subito perché, come hanno detto e noi, loro non sanno ancora come fare”.
Difficile dire se si tratti di lassismo degli uffici, di ostracismo di qualche dirigente o di indicazioni politiche precise. Quello che sappiamo è che il sindaco di Arezzo, Alessandro Ghinelli, è uno dei pochissimi primi cittadini toscani che ha rifiutato il patrocinio al Toscana Pride e che ha più volte dichiarato che lui non avrebbe celebrato unioni civili.

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