Insulti omofobi e allusioni contro il giornalista dell’Espresso Simone Alliva. Parte da questi la querela che ha portato l’autore di Caccia all’omo e di Fuori i nomi a querelare Ariel S. Levi di Gualdo. Tutto nasce con il terremoto di Amatrice: Radio Maria, attraverso le parole di Giovanni Cavalcoli, che considerò quella tragedia come «una conseguenza del peccato originale» e, nello specifico, dell’approvazione delle unioni civili. Alliva ne scrisse su l‘Espresso. Il frate domenicano venne prima sospeso e poi reintegrato dall’emittente religiosa. E il sacerdote ha così pensato di dedicare al giornalista alcuni articoli. Non proprio benevoli.
Come si legge su L’Espresso, che riporta la notizia,«il post viene presentato sotto forma di trilogia e porta la firma di Ariel S. Levi di Gualdo, presbitero e teologo, fondatore delle Edizioni L’Isola di Patmos. Spesso protagonista di talk televisivi come Diritto e Rovescio su Rete 4». Ma cosa c’è scritto in quegli articoli, che portano Alliva a querelare il prete? «Un “religioso” della suprema “neo-chiesa del gender”» così viene descritto «che scrive forse i propri articoli aggressivi vagando da un localino gay all’altro della Capitale, facendo al tempo stesso il master post-laurea in giornalismo. […] Il suo spirito malvagio forse unito anche all’intima gioia d’aver recato grave danno, dolore e disagio a un uomo timorato di Dio che per età potrebbe essere suo nonno».
E non solo: «Il suo mecenate è Tommaso Cerno» continua padre Ariel, «che de L’Espresso oggi è il direttore». Il senatore, secondo il religioso «è un altro militante gay che su questo settimanale approva e passa gli articoli e i servizi che parlano delle più “immani sporcizie” della Chiesa Cattolica». Fino alle allusioni: «Se Silvio Berlusconi favoriva donne-vamp e belle ragazze nelle sue aziende private o per la candidatura nelle liste di Forza Italia, per tutta risposta le numerose prefiche gay sul libro paga de L’Espresso si stracciavano le vesti al grido di meretricio berlusconiano! Se però Tommaso Cerno sistema poco più che adolescente uno dei suoi ragazzotti gay a L’Espresso, questo non è meretricio gay, è cosa veramente buona e giusta».
Alliva ha così deciso di portare in tribunale padre Ariel, ma qualcosa non va come dovrebbe. Francesca Rupalti, la legale del giornalista, dichiara: «La richiesta di tutela da parte del giornalista ha incontrato molte difficoltà, dopo un primo trasferimento per incompetenza territoriale dalla Procura di Roma a quella di Siracusa, il mio assistito ha dovuto opporsi anche alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Siracusa». Il reato è stato considerato «di particolare tenuità, come se gli insulti più grevi e gli accostamenti più bassi, contenuti in ben tre articoli, potessero essere considerati poco più di uno scivolone».
E non solo: «Ad oggi, ad anni di distanza» continua l’avvocata, «spiace dover riportare che il processo non è mai avanzato oltre la prima udienza. Dopo innumerevoli rinvii per ricerche, ove l’imputato per anni non veniva reperito presso il proprio indirizzo di residenza, nonostante sia addirittura stato visto anche in programmi di prima serata di livello nazionale, per la seconda volta assistiamo alla presentazione di rinvii per legittimo impedimento basati su motivi di salute decisamente discutibili».
Raggiunto da Gaypost.it, Alliva ha dichiarato che oggi riscriverebbe ugualmente quell’articolo: «Il nostro lavoro è questo: scrivere le notizie. E quella notizia diceva molto dello spirito del tempo e del posto in cui viviamo. Se denuncerei di nuovo? non lo so. Ci ho pensato molto. Ma non avevo scelta». Ha un tono un po’ amaro, Alliva. Consapevole, però, che su certe parole non si possono fare passi indietro o soprassedere: «Quel dossier infamante mi ha fatto perdere moltissime occasioni lavorative. Pensate dover fare un colloquio e trovarvi dall’altra parte la persona che vi seleziona digitare il vostro nome e cognome. Primo risultato: genderista satanista omosessualista. Non il massimo come bigliettino da visita».
E il problema non finisce qui: «Il problema è che quegli insulti sono rimasti. E l’autore non sta pagando un centesimo. Io invece sì. Più di quanto possa permettermi da giornalista, collaboratore freelance». Le spese legali, i viaggi da Roma alla Sicilia per non parlare dello stato psicologico in cui può versare chi ritiene di aver subito un’ingiustizia. «Questo meccanismo che ti costringe a devolvere parte del tuo tempo e dei tuoi soldi fa scattare dentro di te una reazione per cui la volta successiva, prima di scrivere di un determinato tema o di una determinata persona magari ci pensi perché sai che sennò ti ritrovi questa intimidazione subdola che ti crea ancora più problemi». Insomma, mai come in questo caso si spera che giustizia sia fatta. Accelerando i tempi. Prima della prescrizione.
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