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La Corte Suprema chiamata a decidere sui licenziamenti delle persone Lgbt+

Ieri, martedì 8 ottobre, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha tenuto una importante udienza per tre casi di presunta discriminazione in base all’orientamento sessuale sul lavoro. Si tratta di un’udienza storica perché potrebbe, una volta per tutte, chiarire l’applicazione del Civil Right Act nei confronti delle persone Lgbtq+.

Al momento la legge federale così come riformata dal Civil Right Act prevede che i cittadini americani, nella fattispecie i lavoratori, non possano essere discriminati in base al sesso. Così la Corte Suprema è chiamata a decidere se tra le discriminazioni basate sul genere possano rientrare quelle sull’orientamento e la identità sessuale. Se la decisione della Corte fosse positiva – cosa difficile visto il delicato equilibrio tra componenti liberal e componenti conservatori – si tratterebbe una decisione storica che avrebbe ripercussioni a pioggia in tutti gli stati americani.

I CASI DISCUSSI

Dei tre casi discussi ieri due riguardano discriminazioni contro persone omosessuali – Bostock contro la Contea di Clayton e Altitude Express, Inc contro Zarda – e uno è un caso di discriminazione contro una persona trans – R.G. e G.R. Harris Funeral Homes contro Equal Employment Opportunity Commission
Tutte e tre le cause hanno un punto in comune: il Civil Rights Act del 1964 mette al bando le discriminazioni legate al sesso e le discriminazioni contro le persone Lgbtq+ sono fondamentalmente legate a discriminazioni basate sul sesso, una forma di discriminazione basata sugli stereotipi di genere.

I PRECEDENTI

La Corte Suprema ha stabilito che discriminare sulla base di uno stereotipo di genere – come licenziare una donna per l’aspetto troppo mascolina – è una forma illegale di discriminazione in base al sesso. La sentenza è arrivata nel 1989 con il caso di Price Waterhouse, dove a una donna è stata negata la promozione perché non indossava il giusto trucco o abbastanza bigiotteria. Il caso fu vinto dalla donna.
In questo caso i sostenitori della causa Lgbtq+ stanno dicendo che sia il testo della legge puro e semplice che i precedenti delle leggi sulle discriminazioni di genere basate sugli stereotipi siano applicabili, mentre il lato conservatore della Corte afferma che sarebbe meglio ignorare il testo del Civil Rights Act e concentrarsi invece su quello che il legislatore intendeva quando l’atto stesso è stato promulgato.

LA DISCUSSIONE IN AULA

Pamela Karlan è l’avvocata che rappresenta Donald Zarda e Gerald Bostock (di cui abbiamo parlato ieri): entrambi hanno perso il lavoro quando i loro capi hanno scoperto che sono gay. Karlan ha detto alla Corte che se i loro datori di lavoro avessero scoperto della loro attrazione per gli uomini e fossero stati donne non sarebbe stati licenziati, mentre essere uomini a cui piacciono gli uomini è costato loro il posto di lavoro.
Jeffrey Harris è invece l’avvocato dei datori di lavoro e ha controbattuto la legittima della decisione di licenziarli in quanto sesso e orientamento sessuale sono stati concepiti come due concetti diversi ai tempi in cui fu passato il Civil Rights Act.

L’INTERPRETAZIONE DEL CIVIL RIGHTS ACT

Il giudice Samuel Alito – nominato nella Corte Suprema da George W. Bush – ha risposto a Karlan dicendole che «Sta cercando di cambiare il significato di quello che il Congresso ha stabilito sia il sesso». In realtà le argomentazioni di Karlan non vertono sulla definizione di sesso, ma sulla applicazione corretta del Civil Rights Act e su una applicazione che non escluda le persone Lgbtq+. Karlan ha risposto che «L’impegno a dare ai lavoratori opportunità eque di impiego senza tenere conto del loro sesso comporta proteggerle dalla discriminazione per essere lesbiche, gay o bisessuali».

IL CASO AIMEE STEPHENS

Dopo i casi di Zarda e Bostock è stato discusso quello di Aimee Stephens. La donna è stata licenziata dalla ditta di pompe funebri dove lavorava. Durante il processo il suo datore di lavoro ha rivendicato il licenziamento dicendo che «Non si sarebbe più presentata come un uomo». Durante il processo era stato stabilito che si trattasse di un caso di discriminazione basata sullo stereotipo puro e semplice in quanto il suo capo sarebbe contravvenuto al cuore della premessa del Titolo VII: gli impiegati devono essere giudicati sui loro meriti, non sul loro sesso.
La giudice Sonia Sotomayor ha chiesto all’avvocato di parte – che è un oppositore dei diritti – fino a che punto la Corte avrebbe dovuto continuare ad accettare le discriminazioni. L’avvocato ha risposto che sarebbe spettato al Congresso decidere, facendo eco al giudice Neil Gorsuch che aveva precedentemente affermato che un «sovvertimento sociale così grande» sarebbe dovuto passare dal Congresso. Potrebbe essere proprio quello di Gorsuch il voto che potrebbe far pendere l’ago dalla bilancia da un lato o da un altro.

I COMMENTI A CALDO IN ATTESA DELLA DECISIONE

«Che giornata. Dopo aver sentito le domande dei giudici siamo speranzosi che si possa essere ottimisti», ha commentato l’avvocato di Lambda Gregory Nevins.
«Se la Corte applicasse semplicemente la legge per come è scritta i lavoratori Lgbtq+ vincerebbero. Il testo del titolo VII è chiaro: se un datore di lavoro si rifiuta di assumere, licenza o maltratta un impiegato in base al suo sesso viola la legge. Ci questi tre casi, e in tanti altri, gli impiegati Lgbtq+ sono stati puniti semplicemente per non essere conformi allo stereotipo di genere nella testa del loro datore di lavoro. La Corte ha una grande opportunità».
Secondo la reporter della Cnn Ariane de Vogue la discussione di due ore ha dimostrato che i quattro giudici liberali sono generalmente più favorevoli all’argomentazione che il Civil Right Act metta già al bando le discriminazioni.
Ma non è una situazione promettente: gli altri cinque giudici sono conservatori e almeno uno di loro, come abbiamo detto, sostiene che non licenziare una persona per la sua identità sia un «immenso sovvertimento sociale».

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