Dopo aver affrontato il tema del mobbing e delle molestie sul luogo di lavoro questa settimana restiamo in ambito di tutela del lavoratore affrontando il tema della tutela del lavoratore o della lavoratrice sieropositivo/a.
L’argomento è vastissimo per cui in questa guida ci limiteremo ad analizzare i principi fondamentali rimandando un approfondimento ad ulteriori guide.
In Italia sono diversi gli strumenti di tutela per lavoratori sieropositivi: dalla Costituzione allo Statuto dei Lavoratori fino ad arrivare in quella che è una legge specifica sui diritti delle persone sieropositive: la legge 135 del 1990.
Ecco di seguito le principali domande (e risposte) sul tema.
In base all’art. 6 comma 1 della legge 135/1990 il datore di lavoro non può né imporre né richiedere il test per l’Hiv. La legge, infatti, vieta espressamente a tutti i datori di lavoro di svolgere indagini tendenti ad accertare l’esistenza di uno stato di sieropositività nei confronti dei/delle dipendenti o delle persone prese in considerazione per un’eventuale assunzione.
Tale divieto, suffragato anche dall’art. 32 della Costituzione e da una specifica raccomandazione del Consiglio d’Europa, trova peraltro tutela anche negli artt. 5 ed 8 dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 1970).
L’eccezione a questo principio è rappresentata dalla sentenza della Corte Costituzionale n.218 del 1994 che ha sancito invece la possibilità di test per le categorie di lavoratori impegnati in “attività che comportano rischi per la salute di terzi”.
La natura di tali competenze tuttavia nella sentenza non sono state esplicitate e sono state demandate al legislatore che non ha provveduto. In fase interpretativa si è comunque stabilito che riguardino quelle mediche e paramediche e del personale di Polizia.
Infine, il Dlgs. 626/1994 mirante la generalizzata salvaguardia della salute dei lavoratori sul posto di lavoro, consente che possano essere richiesti – in specifici casi – accertamenti sanitari presuntivi e controlli, per il mantenimento e la miglior collocazione sul luogo di lavoro.
Il tutto comunque a condizione che venga salvaguardata la riservatezza degli accertamenti (anche ex lege 675/1996 sulla privacy) e fermo il divieto di discriminazione sulla base dell’esito degli accertamenti effettuati.
In base alla legge 135/1990 in nessun caso lo stato di sieropositività può costituire motivo di discriminazione per ottenere o mantenere il posto di lavoro (art. 5 comma 5).
In ogni caso il medico non può rivelare al datore di lavoro il motivo dell’assenza per malattia (diagnosi), ma solo la durata presunta della malattia nonché eventuali prescrizioni sulle attività che può svolgere o meno il/la lavoratore/trice.
Nemmeno per l’attestazione dell’invalidità civile e l’iscrizione alle liste del collocamento obbligatorio per le persone disabili è necessario indicare la diagnosi di sieropositività.
Il trasferimento o il mutamento di mansioni del lavoratore possono essere imposti solo per comprovate ragioni tecnico-produttive. In ogni caso le mansioni e la professionalità del lavoratore dovranno essere salvaguardate, a pena di nullità di qualsivoglia patto contrario.
nel caso si ponga un problema di inidoneità specifica il lavoratore può chiedere, previa visita del medico legale, un cambio di mansioni equivalenti ma che abbiano modalità e/o orari di lavoro più confacenti alla propria situazione.
Il licenziamento per inidoneità potrà avvenire solo qualora le dimensioni aziendali non consentano l’utile ricollocazione del lavoratore in altre mansioni, eventualmente anche inerenti ad una qualifica più bassa.
In caso di assenza prolungata per la necessità di svolgere terapie hiv il datore di lavoro può licenziare?
Il licenziamento dovuto alle assenze prolungate deve necessariamente seguire le regole contrattuali. In ogni contratto nazionale di lavoro, infatti, sono stati definiti “periodi di comporto”, ossia periodo massimi di malattia che una persona può fare nello svolgimento di un rapporto di lavoro, senza che si incorra nel licenziamento da parte del datore di lavoro.
Nel caso invece ci sia un ingiusto licenziamento che non segua tali periodi di comporto, dovuto ad evidente discriminazione, è importante attivarsi prontamente in sede sindacale e/o legale.
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