Le lesbiche italiane non ci stanno e scrivono al Manifesto: «Facciamo parte di una rete di lesbiche stanche» si legge nella lettera aperta firmata da oltre cento attiviste, che si dicono «devastate da un anno e mezzo di insistente e imposta emersione, nel nostro movimento, di un unico tema: la Gpa, che alcune chiamano con spregio “utero in affitto”». Emerge, in pratica, la stanchezza nei confronti del dibattito all’interno del mondo femminista e lesbico, ridotto ad un’unica questione da realtà ben specifiche. Vediamo di cosa si tratta.
«Abbiamo ascoltato con sempre maggiore insofferenza le concioni senza interlocutorio, espresse spesso in un linguaggio sprezzante e-o condito di una retorica ottocentesca sul materno». Le attiviste lesbiche non vogliono che la donna sia descritta come mera macchina riproduttiva, immagine che sembra essere tanto cara a certo femminismo (della differenza) e a certo associazionismo escludente (vedi il caso Arcilesbica). E lanciano un allarme: «Ci domandiamo come non sia stata notata la sempre maggiore convergenza fra il linguaggio, e gli scopi, della destra familista Salvini-Meloni e quella di un femminismo lesbico che si autodefinisce radicale e la cui critica al neoliberismo ha come sede centrale, e vorremmo dire unica, la crociata contro la Gpa».
Il gruppo di attiviste non condanna solo la visione della donna vista «solo come ricettacolo di Maternità», ma anche la qualità della narrazione attorno al femminile, del materno e dell’identità lesbica nello specifico. Tale narrazione, «ricorda direttamente espressioni usate dalla peggio feccia fascioleghista rispetto ai migranti. Senso di invasione misto a disgusto, ansia da perdita di identità». La critica va al Manifesto stesso, che ha ospitato l’«ennesimo punto di vista di Daniela Danna» che sui fatti di Torino ha così commentato: «Un giorno a Torino si registra la figlia di una donna con la sua compagna madre sociale, e il giorno dopo si è travolti da coppie di uomini che ricevono dai Comuni una doppia paternità». Un articolo i cui toni sono ritenuti inaccettabili.
Tra le altre critiche, emerge una questione di metodo: «L’argomento anticapitalista non viene mai sostenuto da solo, alla fine si ricorre a quello basato sul rapporto neonato-puerpera». E investe anche una questione di contenuti: «in questo articolo si accusano le coppie di madri lesbiche perché non mettono in chiaro la differenza tra Gpa e inseminazione artificiale. Lo fa una lesbica radicale. Il radicalismo è un mostro che finisce per divorare se stesso, evitando però di divorare i propri figli perché pensa di più alla stirpe che ad altro?»
La riduzione della donna a figura di genitrice è da rigettare in toto, secondo le attiviste firmatarie della lettera aperta al Manifesto: «L’unico potere femminile è questo?» si domandano. Arrivando a un’amara conclusione: «Sarebbe ora di smetterla, se così fosse, di parlare non solo di femminismo radicale, ma di ogni tipo di femminismo che implicasse una ridiscussione dei rapporti fra i sessi». Ma le cento attiviste hanno un’idea diversa del femminismo: «Lasciare inalterati i finti “equilibri” di genere che si basano sul contratto sociale che definisce le donne come Madri e non come soggetti equivale a un’assenza di potere, o anche solo di contrattazione, reale».
E sull’ossessione nei confronti della gestazione per altri, sentono puzza di bruciato: «Cominciamo persino a pensare che Gpa faccia paura in quanto forma emancipatoria da un ruolo imposto». Come se l’unico fronte su cui combattere gli abusi delle politiche neoliberiste, precisano le attiviste, fosse quello della sfera riproduttiva. E l’attuale sistema di potere non risparmia certo la donna da sottomissione e sfruttamento in altri ambiti, lavorativi e sociali. E stanche di doversi confrontare con chi ha ridotto il femminismo a orizzonti così miopi, le cento attiviste concludono il loro accorato appello auspicando «un ritorno di una politica lesbica e femminista che rimetta al centro i soggetti, non le funzioni biologiche da sempre simbolizzate da chi ci opprime».
La lettera aperta è stata firmata dalle seguenti attiviste. Riportiamo di seguito l’elenco integrale delle adesioni: Paola Guazzo, Roberta Padovano, Liana Borghi, Maya De Leo, Sara Garbagnoli, Elisa Manici, Monica Mercantini, Daniela Tonolli, Deborah Di Cave, Stefania Dondero, Michela Poser, Clarissa Vannini, Daniela Tomasino, Silvia Di Pietro, Paola Gabrielli, Annalisa Righetti, Cheti Nencetti, Luisa Corno, Patrizia Ottone, Maria Laricchia, Anita Lombardi, Carla Catena, Malia Cerri, Pierangela Falco, Silvia Casassa, Daniela Vassallo, Ilia Lucenti, Rossana Marina, Laura Michielotto, Viviana Viola, Mary Nicotra, Grazia Maria Caligaris, Alessandra Riberi, Veronica Vennettilli, Cristina Torazza, Paola Rizzi, Grazia Dicanio, Elvira Liscia, Patrizia Colosio, Flavia Cidonio, Federica Mammi, Marzia Cassetta, Enrica Capussotti, Silvia Filippelli, Giziana Vetrano, Elisa Corridoni, Irene Moretti, Donatella Vinci, Antonella Luce, Cinzia Arcadi, Antonella Garofalo, Paola Fazzini, Artemide Almeria Baraldi, Sara Lomi, Valeria Monterotti, Luciana Elefante, Piera Forlenza, Laura Bartolini, Francesca Masante, Chiara Marenco, Maia Pedullà, Nunzia Di Dio, Sabrina Ranieri, Giorgia Villa, Katia Acquafredda, Elisabetta Natalia, Alessandra Baghdighian, Elisa Coco, Katia Caprarelli, Anita Sonego, M. Costanza Di Salvia, Valeria Blandizzi, Elena Alberti, Valentina Pinza, Grazia Bosi, Laura Scarmoncin, Daniela Ghiotto, Silvia Spina, Angela Pezzotti, Marilena Grassadonia, Rachele Borghi, Alessia Crocini, Anna Muraro, Antonella D’Annibale, Debora Ventrella, Sonia Agazzi, Laura Mariotti, Francesca Lunanuova, Germana Gemignani, Renata Rustichelli, Irene Ciulli, Silvia Starnini.
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