Una scoperta che rivoluzionerà la lettura della storia, in chiave femminile: si tratta del mistero del dente blu, ritrovato nei resti di una suora vissuta a cavallo dell’anno 1000 e che ha interrogato la ricerca storica sul perché nelle spoglie della monaca ci fosse traccia di quel pigmento. Quindi, la scoperta: la suora era molto probabilmente un’amanuense e ciò dimostra come anche le donne in pieno medioevo fossero impiegate per la riscrittura e la diffusione dei manoscritti di pregio.
La notizia è riportata sul sito di La Repubblica, in cui possiamo leggere: «Il team della dottoressa Christina Warinner, del Max Planck Institute for the Science of Human History di Jena, ha analizzato l’impronta dentale di un soggetto chiamato B78 ritrovato in un monastero medievale a Dalheim, in Germania. I resti ritrovati appartenevano a una monaca vissuta, secondo la datazione al radiocarbonio, tra il 997 e il 1162 d.C., e che probabilmente aveva fra 45 anni e i 60 quando morì».
Le tracce di pigmento blu sarebbero di lapislazzuli, un minerale rarissimo e costosissimo. Era materialmente impossibile che la monaca potesse possederne per sé, mentre è noto che la polvere di questa pietra fosse usata per le decorazioni dei manoscritti, proprio nei monasteri. Ciò ha indotto il team a comprendere il ruolo della donna, dentro il suo convento e che la monaca «avesse l’abitudine di toccare la punta del pennello con la lingua durante il suo lavoro di amanuense e questo giustificherebbe la presenza di quelle macchie di colore blu sulla dentatura».
La ricerca è stata pubblicata su Science Advances. Il pigmento è finito ad essere incorporato e stratificato nella placca dentale, che è divenuta una sorta di capsula del tempo, secondo Warinner. Ciò porterà a una rilettura e una riscrittura del ruolo delle donne nei monasteri in quel periodo. E non solo: segna, infatti, un importante traguardo per una storia “al femminile” nella nostra cultura. Stori ancora troppo permeata di un approccio estremamente sbilanciato sulla figura degli uomini nelle epoche passate. Un’importante traguardo nella ricerca, insomma. Che lascia ben sperare.
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