«Muore ad Andria una persona transgender, Gianna, indigente perché scartata dalla società» comincia così uno stato di Taffo, la famosa agenzia funebre Lgbt-friendly. Di solito sorridiamo per le geniali comunicazioni di questa realtà, ma non oggi. «La famiglia» possiamo leggere ancora «decide di affiggere manifesti funebri con il suo nome al maschile. Un’offesa al nome e all’identità con cui la conoscevano tutti». E così si prova a restituire dignità a questa persona, morta in solitudine: «Abbiamo deciso di rifare la locandina funebre per darle un rispettoso ultimo saluto».
Taffo ringrazia Vladimir Luxuria, che ha segnalato la storia di Gianna. Raggiunta al telefono da Gaypost.it, ci racconta come l’ha conosciuta. Tempo fa, per un’iniziativa pubblica con le associazioni locali ad Andria, al momento di dare la parola al pubblico si era fatta avanti lei. «Ricordo i suoi occhi, questo mix di rimmel e lacrime» racconta la Vladi, palesemente emozionata, «e ci ha raccontato la sua storia». Una storia fatta di privazioni, di una società che non l’ha accettata. Di indigenza: «Gianna voleva una vita dignitosa. Voleva vivere in una casa popolare, per avere una situazione abitativa migliore» racconta ancora Luxuria.
Fino a quando è arrivata la telefonata della sua morte. «Ricordo che, dopo quell’iniziativa, lei venne da me e parlammo. Compresi, dal suo racconto, che la sua era stata una vita molto difficile. Ed è lì che comprendi quanto si possa essere fortunati. Perché al posto di Gianna, potevo esserci io. Potrebbe essere chiunque di noi». Una condizione, infatti, che accomuna diverse persone transgender e non solo: una società ostile, che ti rifiuta, che pretende di farti vivere ai margini. Vladimir Luxuria ha deciso di ricordare, dunque, la storia di Gianna sul suo profilo, da cui poi Taffo ha preso ispirazione.
I manifesti funebri affissi hanno però ricordato non il nome di elezione di Gianna, ma il nome di battesimo: «Una scelta inutile» commenta ancora Vladimir Luxuria, «se si vuole ricordare la persona, che senso ha? Tutti la conoscevano come Gianna, al femminile». Per questa ragione, è così che ha voluto ricordarla: «Per impedire questa damnatio memoriae» dichiara ancora l’ex parlamentare. La questione dei manifesti era già stata lanciata dalla comunità Lgbt+ locale. A cominciare dall’attivista Rosa Perrucci, che denunciava: «Una dignità negata per anni da viva, e negata anche ora che non c’è più». Per questa ragione la comunità Lgbt+ di Andria aveva già pensato a fare i primi manifesti in forma cartacea: «In verità lei si faceva chiamare Mary, nome che abbiamo voluto riprendere. Tutti però la chiamavano Gianna» precisa ancora l’attivista. E così, il primo manifesto riporta entrambi i nomi. La vicenda è poi stata ripresa da Vladimir Luxuria, e a sua volta da Taffo.
A ricordare Gianna, anche la sindaca di Andria, Giovanna Bruno. Che così scriveva qualche giorno fa su Facebook: «La nostra città ha tante persone fragili. Fragilità di varia natura, con storie che vengono anche da lontano. Storie molto diverse tra loro ma spesso con un denominatore comune: sofferenza, solitudine, tristezza, precarietà sociale o fisica. La città di fronte a ciò a volte si indigna, a volte respinge. In alcuni casi è solidale, in altri si fa giudice. […] Apprendo con tristezza che una di queste fragilità cittadine non c’è più: Gianna. Apprendo dai suoi vicini, che in silenzio tante volte l’hanno aiutata, che una brutta caduta le ha stroncato l’esistenza. Con la sua dipartita cade il muro di pregiudizi nei suoi confronti, cade la cultura dello scarto».
E richiama all’accoglienza e alla solidarietà, la sindaca: «Ma che ce ne facciamo ora che non c’è più? Quante altre Gianna la nostra Comunità conosce, di cui deve farsi carico a partire dalle istituzioni? Gianna mi ha fermato qualche giorno dopo il mio insediamento. Cercava un alloggio ma mi ha raccontato che nessuno voleva farle il contratto. Aveva un sostegno economico dai servizi sociali ma il suo cruccio era la casa. Questo ho saputo di lei, dal suo racconto. Mi sarebbe venuta a trovare. Voleva parlare, essere ascoltata. Oggi, la notizia della sua scomparsa».
La macchina della solidarietà, intanto, si è messa in moto, come scrive ancora Rosa Perrucci sul suo profilo Facebook: «Abbiamo raccolto qualche soldino per procedere con l’affissione dei manifesti a nome di tutta la comunità Lgbt e non solo! Se ci fossero persone che vogliono contribuire restiamo a disposizione». La comunità che si stringe attorno ai contorni di un’assenza e prova a colmarlo, quel vuoto. Per restituire dignità a una persona che non c’è più. Per restituirle il suo nome. Se stessa.
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