Il 12% degli italiani non vorrebbe una persona transgender o transessuale come vicina di casa e il 6% non vorrebbe come vicino un gay o una lesbica.
E’ quanto emerge da un sondaggio realizzato da Ipsos tra il 6 e il 10 maggio scorsi per il Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Presentato in occasione della Giornata Internazionale contro l’Omofobia, la transfobia e la bifobia, alla presenza del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle pari opportunità, Vincenzo Spadafora, il sondaggio, basato su un campione nazionale di 1.000 persone rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne secondo genere, età, livello di scolarità, area geografica di residenza, dimensione del comune di residenza, rivela che il “vicino di casa più sgradito” è un tossicodipendente (per il 69% degli intervistati).
Seguono una persona di etnia Rom (63% degli intervistati), una persona che beve molto (60%), un musulmano (19%), un immigrato (18%), un transgender/transessuale (12%), un gay o una lesbica (6%) e, infine, un ebreo (4%). Parlando di ambiti di discriminazione delle persone Lgbt, al primo posto viene indicato il mondo del lavoro, seguito da scuola e università e dall’accesso ai servizi pubblici, mentre meno citato sembra essere l’ambito sanitario.
L’indagine mostra una visione degli italiani molto critica rispetto alla società italiana che si delinea come un paese iniquo dove molti gruppi di persone vengono discriminati. Una società tendenzialmente intollerante, dove ognuno pensa solo a se’ stesso, dove le donne contano poco ed incapace di stare al passo coi tempi.
Il 56% degli italiani sono chiusi (28%) o spaventati (28%) nei confronti delle persone Lgbt e le maggiori resistenze si registrano tra chi ha piu’ di 55 anni. Di contro il 62% ritiene che il paese ha fatto “decisi passi in avanti” sul tema dei diritti civili e il 66% si dice favorevole alle unioni civili. Crescono consapevolezza e apertura tanto che il 75% ritiene che debba essere garantito il diritto ad esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere, ma “l’ apertura” si riduce al 68% quando si parla di matrimoni e scende al 34% quando si affronta il tema del diritto alla genitorialità delle persone Lgbt.
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