«Non mi chiamavano ricchion* da quando frequentavo le scuole superiori, e oggi, a 33 anni, è successo proprio per mano di ragazzi di quell’età». Comincia con queste parole il lungo stato dello scrittore Pierpaolo Mandetta, che ha denunciato un’aggressione verbale di stampo omofobo sul suo profilo Facebook.
«Non li chiamerò bambini o ragazzini, come a sminuire la cosa o ad attenuarla, perché a quindici o sedici anni non sei un uomo, ma un minimo di educazione civile devi averla» continua ancora. E quindi racconta come sono andati i fatti: «Stasera, intorno alle 17:30, stavo lavorando nel Podere con un amico, ed è passato di fronte al casale un branco di sei ragazzi sui motorini. Passano sempre, ogni pomeriggio, con due cani sciolti, uno nero e uno marrone, ma in genere sono un paio di loro che arrivano fin lì. Stavolta c’era tutta la comitiva».
«Pensando che io fossi in casa e quindi di non essere visti» continua «uno di loro ha urlato “ricchion*”. Poi si sono accorti che invece ero nel parco e che li avevo riconosciuti, così hanno accelerato e sono usciti dalla campagna». Mandetta dice di non conoscere quelle persone, di quali famiglie fanno parte, se di persone per bene o no. «Ma una cosa la so» dice ancora, «credevo che non facesse più male. Di averla superata. Di essere un uomo che ha trasformato quei ricordi in cicatrici e che capisce che là fuori ci sono persone crudeli, bisogna solo resistere. Invece non è così».
È un amaro sfogo, quello di Pierpaolo: «Ho fatto finta di niente, ho chiuso gli attrezzi nel capanno, sono salito in macchina per tornare a casa e quando ho messo in moto sono scoppiato a piangere. Come se non fosse passato un giorno da quei tempi in cui quei ragazzi di quindici e sedici anni mi chiamavano ricchion* a scuola e mi rovinavano per sempre la vita. Come se avessi ancora paura, e adesso so che è così. Ho ancora paura del mondo».
Mandetta continua con le sue parole, in cui ricorda cosa significhi vivere da gay in una piccola realtà di provincia. Una vita che può essere difficile, in cui dover scontare frecciatine, isolamento e disprezzo sociale. L’autore ha anche pubblicato la sua foto, mentre piange per l’umiliazione subita. «Fa male e basta» scrive ancora. «È una violenza e non è giusto. E la pubblico affinché chi li conosce capisca il dolore che possono causare dei ragazzi di quell’età. Perché se lo fanno a me, vuol dire che lo faranno anche a scuola, e magari stanno distruggendo l’adolescenza a qualcuno come successe ai miei tempi».
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