La transessualità non è più una malattia. Così ha deciso l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS). Una notizia dalla storica portata che viene così motivata: «L’incongruenza di genere è stata rimossa dalla categoria dei disordini mentali dell’International Classification of Diseases per essere inserita in un nuovo capitolo delle “condizioni di salute sessuale”». L’OMS ha inoltre specificato che «è ormai chiaro che non si tratti di una malattia mentale e classificarla come tale può causare una enorme stigmatizzazione per le persone transgender».
La transessualità rimane, tuttavia, «in un capitolo dell’International Classification of Diseases (ICD)»: e ciò è spiegato sempre dall’Oms, «dall’esistenza di un notevole bisogno di importanti cure sanitarie che può essere soddisfatto se la transessualità rimane all’interno dell’Icd stesso». In altre parole: essere persone transgender non è più una condizione patologica, ma occorre garantire l’accesso alle cure sanitarie necessarie per l’intervento chirurgico, la somministrazione di ormoni e gli altri trattamenti sanitari. La depatologizzazione arriva dopo la decisione di altre nazioni nella stessa direzione. già nel 2012, infatti, la Francia aveva deciso di non considerare la condizione trans come una malattia mentale, seguita poi da Danimarca e Svezia.
La notizia è stata accolta molto positivamente nel mondo associativo: per Ottavia Voza, responsabile Politiche trans di Arcigay, la decisione «va nella direzione della depatologizzazione della condizione trans che è il fondamento alla base delle norme più avanzate, già presenti in Paesi come Malta e l’Argentina, in cui sempre di più la transessualità è svincolata da complesse procedure mediche e giuridiche». Per Voza, dunque, «è sempre più necessaria una revisione della attuale normativa italiana, per una semplificazione delle procedure ed il rispetto del principio di autodeterminazione della persona».
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