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Padova Pride Village: l’incontro sulle unioni civili scivola sul referendum costituzionale

Il dibattito attorno al referendum costituzionale previsto per il prossimo autunno sta oramai dividendo drasticamente l’opinione pubblica, suscitando ampissime discussioni. La cosa può essere interpretata come un segnale positivo perchè significa che accende le coscienze civiche degli italiani e delle italiane e spinge ad una certa partecipazione nella decisione del futuro assetto del Paese. Il punto è che, a volte, travalica confini che sarebbe meglio non superasse, comunque la si pensi. E, per inciso, chi scrive molto probabilmente voterà sì.

Venerdì 2 settembre è stata ospite del Padova Pride Village la ministra per le Riforme Costituzionali e i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi. In compagnia del patron della manifestazione, nonché collega di partito, Alessandro Zan, la ministra Boschi ha dato vita a un breve talk politico sulla legge delle Unioni Civili. Sebbene senza contraddittorio né possibilità di intervento da parte del pubblico, fin qui tutto prevedibile.

Come prevedibile era, dati i relatori, che si parlasse della legge come di una norma che sancisce la piena eguaglianza sociale e giuridica. Vale la pena ricordare, però, che pur trattandosi di una norma che riconosce diritti finora non riconosciuti alle coppie gay e lesbiche, non si tratta del matrimonio egualitario che sarebbe un reale riconoscimento di parità. Non ci sono due “coniugi” dopo una unione civile, ma due “parti”. I contraenti che volessero diventare genitori, dovranno momentaneamente rinunciarvi in quanto le coppie omogenitoriali nel nostro Paese continuano a non ricevere il riconoscimento che meriterebbero, solo per fare alcuni esempi. La ministra Boschi, però, è stata decisamente abile nell’evitare l’argomento “genitorialità” durante il suo intervento, stando attenta a non citare lo stralcio della Stepchild, che avrebbe permesso a tanti nuclei già formati di ricevere le tutele necessarie. Ma ancora una volta, fin qui tutto come da copione.

La cosa ha preso una piega diversa quando il discorso è stato deviato sulla questione del referendum costituzionale su cui la maggioranza del Pd sta investendo molto in termini di campagna per il “Sì”. E la ministra non s’è fatta scappare l’occasione della platea del Village. Con il sostegno dell’onorevole Zan, infatti, sono emersi due ragionamenti. Il primo: “Votare Sì è necessario per ottenere altre importanti leggi per la collettività LGBT”, tra cui la legge contro l’omofobia che, lo ricordiamo, in realtà non è mai stata discussa in Senato. Il secondo: “Se siamo riusciti a ottenere la legge sulle Unioni Civili ora possiamo anche ottenere questa riforma!”. Il messaggio è chiaro: se non vince il sì al referendum sono a rischio tutte le altre leggi che si possono fare in tema di diritti delle persone LGBT che, grate per la legge Cirinnà, ora dovrebbero appunto sostenere il sì.
Eppure, il Parlamento è eletto per fare le leggi e compito dei parlamentari è assicurarsi che la Costituzione venga applicata, principi di uguaglianza inclusi. Sarebbe come ringraziare un docente perché insegna o un magistrato perché celebra processi.

Le cose dette sul palco dai due esponenti dem, tuttavia, non sono passate inosservate e oggi dice la sua il circolo Arcigay Tralaltro di Padova che all’interno del Pride Village gestisce uno spazio di incontri, dibattiti ed eventi. “Arcigay nel merito del referendum costituzionale promuove esclusivamente un voto consapevole e informato – ha dichiarato a Gaypost.it il presidente Mattia Galdiolo -, presupposto per ogni democrazia matura. Non crediamo che una strumentalizzazione della comunità LGBTI sulla legge contro l’omo-transfobia sia funzionale a una comprensione piena delle riforme costituzionali. Piuttosto crediamo che le istanze lgbt non vadano strumentalizzate perché il rischio è quello di assolvere la politica dalle sue evidenti responsabilità. Mentre invece per aprire la strada ai diritti è necessario un miglioramento della classe politica nel suo complesso“.

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