Il decreto Paesi sicuri è operativo da pochissimo, ma già da più parti si segnala come tale decreto rischi di portare a una contrazione delle possibilità di ottenere garanzie da parte di richiedenti asilo omosessuali. Oggi è stata Monica Cirinnà a rivolgersi ai ministeri competenti – Affari esteri e Cooperazione internazionale, Giustizia, Pari opportunità e Famiglia – spiegando punto per punto i rischi che il decreto comporta. Qualche giorno fa un duro attacco era arrivato da +Europa.
Il decreto Paesi sicuri ha previsto che tra i paesi dichiarati “sicuri” – certificazione arrivata dal governo giallo-verde senza passaggi parlamentari – ve ne siano alcuni dove l’omosessualità è perseguita penalmente. In particolare, fa notare Cirinnà, Algeria, Ghana, Marocco e Senegal. Il decreto rende più difficoltoso ottenere la protezione umanitaria o qualsiasi altro tipo di protezione internazionale proprio alla luce del fatto che la provenienza da quel paese viene considerata per decreto non a rischio. È evidente, però, che questa previsione sia in contrasto «con i più elementari principi di civiltà giuridica oltre che con i valori fondanti la Costituzione repubblicana».
La giurisprudenza della Corte di Cassazione sembra dare ragione a Monica Cirinnà e alla sua interpretazione: «In sede di sindacato sulle domande di protezione presentate da richiedenti asilo LGBT+» la Corte «ha progressivamente escluso ogni possibile rilevanza di valutazioni di tipo stereotipico, richiedendo piuttosto una valutazione della concreta situazione di vulnerabilità del ricorrente, considerato non solo il quadro normativo del Paese di origine, ma anche l’atteggiamento dell’ambiente sociale e culturale nei confronti dell’omosessualità».
Proprio per questo, sottolinea Cirinnà, «l’inserimento tra i Paesi sicuri di Stati nei quali l’omosessualità sia penalmente repressa o comunque fortemente stigmatizzata ostacola e rende oltremodo complesse proprio tali valutazioni in concreto: infatti, il poco tempo a disposizione del richiedente per giustificare la propria domanda di protezione, unitamente alle difficoltà legate all’interiorizzazione dello stigma e alla conseguente difficoltà o vergogna nel dichiarare la propria condizione omosessuale, rischia di vanificare l’effettività del diritto alla protezione internazionale».
I rischi sono quelli di «conseguente rimpatrio immediato e nuova esposizione al rischio di essere sottoposto, nel Paese di origine, a vessazioni o violenze determinate dall’orientamento sessuale». E ancora, ricorda Cirinnà, «di essere consegnato ad una situazione socio-culturale che impedisce di svolgere pienamente la propria personalità e dunque giustifica la concessione di una forma di protezione da parte dell’ordinamento italiano».
Il decreto Paesi sicuri dà attuazione a una delle previsioni più contestate del Decreto sicurezza, cavallo di battaglia di Matteo Salvini durante la sua esperienza al Viminale. La disposizione in questione è quella che facilita le operazioni di rimpatrio e che ha introdotto «arbitrariamente la categoria dei Paesi di origine sicuri, peraltro individuati dal Governo senza alcun tipo di coinvolgimento delle istituzioni parlamentari, e dunque del tutto al di fuori dal circuito della responsabilità politica».
La senatrice dem Monica Cirinnà chiede al Governo e ai ministeri responsabili di attuare una rimeditazione della materia del decreto Paesi Sicuri per far sì che alle persone migranti in condizione di particolare vulnerabilità dovuta all’orientamento sessuale o all’identità di genere sia data adeguata protezione. Cirinnà chiede ai ministeri competenti se e quali iniziative intendano assumere per «per evitare che, in conseguenza del decreto interministeriale 4 ottobre 2019, i migranti LGBT vengano rimpatriati verso Paesi che, sebbene dichiarati sicuri dallo stesso decreto, reprimono penalmente l’omosessualità o nei quali, in ogni caso, si registri una situazione sociale e culturale di forte stigma nei confronti delle persone LGBT».
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