Tempo fa, qui su Gaypost.it, pubblicammo la notizia di alcune attiviste polacche trascinate in tribunale per un’icona della Madonna con l’aureola rainbow. Secondo l’accusa e secondo lo zelo di chi le aveva denunciate – in un contesto, per altro, molto discutibile per quanto riguarda sia la democrazia sia i diritti delle donne in quel paese – accostare un’immagine sacra al pride era blasfemia. Grande fu l’indignazione per l’accusa rivolta contro le attiviste. Storia poi finita bene, in quando il giudice le assolse. In Italia si sta assistendo a un caso molto simile, ma le reazioni sono invece di segno opposto. E proprio dentro la comunità. Vediamo perché.
Recentemente, al pride di Cremona, ha fatto molto scalpore un manichino avvolto da un mantello azzurro. È un busto che rappresenta una donna a seno nudo e un’aureola, i capezzoli coperti da cerotti e l’insieme che ricorda un outfit che potremmo definire sado-maso. Sicuramente una scelta non proprio rassicurante, sia per chi crede sia per chi teme gli eccessi ai pride. E, dentro la nostra comunità, c’è chi ha visto la scelta come dannosa. Parlo di chi non vuole dispiacere la maggioranza di benpensanti, temendo che un linguaggio di un certo tipo possa allontanare la loro benevolenza dall’appoggiare la nostra causa. Ancora, tra le accuse, quella del cattivo gusto.
Ebbene, da allora la polizia si è mossa ed è notizia recente che gli inquirenti hanno riconosciuto le tre persone che portavano il manichino in processione. Nei “guai”, insieme a loro, altre dieci persone. “Ree” di aver favoreggiato questa messa in scena. «Gli atti di indagine sono stati trasmessi in Procura affinché si valutino eventuali reati: l’ipotesi è quella di vilipendio di simboli religiosi» leggiamo su Repubblica.it che riporta la notizia. Sarà soddisfatto persino il sindaco Gianluca Galimberti, che ebbe a dire: «Sfilare con una statua della Madonna blasfema è inqualificabile e irrispettoso non solo verso chi crede e verso la storia della città, ma anche verso chi ha partecipato al corteo manifestando le proprie idee con rispetto».
Chi mi conosce sa che reputo pericoloso inseguire l’idea che per ottenere diritti una comunità – soprattutto se appartenente a una minoranza – debba comportarsi secondo le pretese di una maggioranza privilegiata. Perché in tale ragionamento viene meno un principio democratico di base: un soggetto è titolare di diritti in quanto tale, non perché moralmente irreprensibile. Milioni di eterosessuali possono accedere a matrimonio e genitorialità senza dover dar prova di essere buoni genitori o persone in grado di metter su famiglia. Eppure, per le persone Lgbt+, si segue il principio opposto. Siamo meritevoli di quei pochi diritti “concessi” da una classe politica fatta di maschi eterosessuali a condizioni precise: tra queste, quella di non essere “volgari”. Alla comunità arcobaleno, in altre parole, si richiede una moralità maggiore rispetto a quella prevista per la maggioranza.
Chi mi conosce bene sa anche che sono abbastanza critico e lontano da un certo antagonismo. Sia perché non mi riconosco in certe pratiche, sia perché quel mondo – ai miei occhi – non produce una critica costruttiva (e men che mai soluzioni) rispetto ai problemi concreti del presente. Il recente caso di Polis Aperta, bandita dal Rivolta Pride, ne è un esempio concreto. Ma un principio liberale è quello per cui anche ciò che non piace debba poi avere piena legittimità e piena libertà d’espressione. Per cui, per quanto possa non piacere quel manichino era diritto di chi lo ha portato al corteo di esibirlo. Le accuse di eccesso, da parte di benpensanti di ogni ordine e grado (fuori e dentro la nostra comunità) non vanno lontano da quella richiesta di moralità maggiore di cui si è appena fatto cenno.
La critica alle immagini religiose, anche attraverso un’estetica che ricorda un certo modo di vivere l’erotismo, dovrebbe rientrare infatti nel diritto di opposizione a un’istituzione che da sempre ci discrimina e ci perseguita. Una ragione per cui in Italia siamo indietro rispetto all’ottenimento di pieni diritti è per l’azione della chiesa cattolica e delle sua alte gerarchie. Giocare con le immagini sacre, anche con un certo immaginario, significa a livello simbolico destruttutare il potere di quella istituzione. Al netto del fatto che questo tipo di lotta sia proficua o meno – e i pride all’estero, ben più estremi dei nostri, testimoniano che non c’è nesso alcuno tra “sobrietà” e successo politico – è dunque diritto di quelle persone decidere di usare certi simboli e certo linguaggio.
Bisognerebbe poi interrogarsi sul perché, dentro la comunità, dia fastidio quell’immagine. Sia ben chiaro: posso anche concordare con chi dice che è brutta e di cattivo gusto. Considerare tale un’immagine rientra nel diritto di critica, esattamente come portarla in processione. Ma mi chiederei se il problema non sia solo nel timore – che non dovrebbe appartenerci – di offendere la sensibilità religiosa di chi non ha poi problemi a discriminarci e a raccontarci come peccatori, soggetti moralmente disordinati e errori del disegno di Dio. Mi chiederei in buona sostanza due cose: il problema sta solo nel cattivo gusto o nella presenza di un’immagine sacra a un pride? E ancora: il problema è l’immagine in sé o nella sua nudita?
Non è la prima volta che ritroviamo i simboli religiosi ai pride o alle manifestazioni politiche della comunità Lgbt+. Al di là della madonna blasfema, ricordo l’attivista Andrea Maccarrone presente come Adamo a una manifestazione a sostegno del ddl Zan (in pratica completamente nudo, a parte una foglia di fico). E ancora, al pride di Roma di qualche anno fa, insieme a Porpora Marcasciano, travestito da Gesù Cristo. Anche in quel caso ci furono molte polemiche. Polemiche che però scompaiono quando gli stessi personaggi figurano in altre occasioni, per altro ben lontane dalle rivendicazioni politiche. Ricordiamo un altro ragazzo, sempre nei panni del Salvatore, durante il tifo per una partita di calcio. Eppure la cosa non diede scandalo. Se però il sacro entra nei pride, cominciano i mal di pancia e i musi storti.
Il problema, secondo alcuni commenti raccolti qua e là sul web, sta nel cattivo gusto dell’immagine in sé. Eppure arte sacra e cattivo gusto molto spesso camminano insieme. Soprattutto in certe feste di paese dove le vergini ritratte si caratterizzano per volgarità e rara bruttezza. Per non parlare delle processioni stesse, in cui fedeli e devoti si flagellano o esibiscono una fede che non faticheremmo a bollare come fanatismo. Ancora, sono noti eventi in cui, soprattutto in certi paesi del sud Italia, le statue della Vergine sono state condotte davanti le case dei capi della ‘ndrangheta a far l’inchino al boss locale. Eppure le polemiche per fatti così gravi non raggiunge quasi mai la virulenza che si registra quando casi siffatti avvengono ai pride.
Ancora, l’arte sacra ha pure provato a incontrare il linguaggio e l’estetica Lgbt+. Sto parlando nella mostra di Elisabeth Ohlson Wallin, intitolata Ecce homo. Un insieme di immagini fotografiche che rappresentavano la vita di Cristo in chiave “arcobaleno”. Lo scopo non era quello di insultare o di sconvolgere fedeli e credenti di ogni angolo del mondo, ma di lanciare un messaggio. Ohlson Wallin, cristiana, sostenne che se oggi Gesù fosse tornato – erano gli anni ’90, all’epoca, e in nord Europa c’era grande fermento per il riconoscimento dei diritti civili – sarebbe stato a fianco degli ultimi. La nostra comunità, appunto. L’opera, che si distingue per sensibilità ed equilibrio, fu comunque bollata come “blasfema” e le immagini vennero deturpate.
Se il problema del cattivo gusto sta nella nudità della Madonna blasfema, tornando al caso in questione, o nel fatto che richiama un’estetica sado-maso, andrebbe ricordato che il pride è uno strumento politico a disposizione di una comunità. In questo contenitore si celebra la libertà sessuale. In questa libertà è compresa l’idea di esibire il corpo così come più piace. O di sottoporlo a piaceri ritenuti non convenzionali. Certo, per qualcuno ciò può essere visto come “estremo”. Ma in passato era considerato estremo anche solo prendersi per mano in pubblico. O, addirittura, vivere un fugace rapporto sessuale, tra persone dello stesso, anche nella propria intimità. Ricordiamo cosa prevedevano le leggi di certi paesi del nord Europa per chi veniva trovato a letto con un uomo.
Quanto detto sin ora, dunque, sembra far propendere all’idea che il problema non sia il cattivo gusto in sé, ma la presenza delle immagini sacre ai pride. Mentre altrove quelle stesse immagini non disturbano, come nel caso del Cristo alle partite di calcio. Ma vedere come problematico l’accostamento tra “sacro” e dimensione Lgbt+ non ci porta così lontano dal caso delle attiviste polacche accusate di aver offeso un’immagine sacra, colorando d’arcobaleno l’aureola della Vergine in un’icona. E se accettiamo che la presenza ai pride “sporca” il sacro, dobbiamo poi far pace con l’idea che l’essere Lgbt+ possa contaminare (in negativo) i valori di una società che tiene in alta considerazione l’idea che la chiesa ha della stessa. Chiesa che, ricordiamolo, si configura come custode di quella dimensione.
Concludo con una nota di buon senso. Mi sembra assurdo che nel nostro paese ci sia una legge, per altro di impianto fascista, che protegge i simboli religiosi. Mentre non ne esiste una che protegge alcune minoranze da offese, insulti, discriminazioni e violenze. Ricordate cosa è successo con il ddl Zan? Ecco, appunto. Mi sembra assurdo che dieci persone verranno sottoposte ai controlli degli organi competenti per capire se un oggetto – e stiamo parlando di un manichino, non di una statua prelevata in una chiesa – rientri nella casistica della blasfemia. Mentre continueranno a girare a piede libero migliaia di individui pronti a offenderci per strada o a picchiarci, se l’occasione sarà propizia. O peggio, a ucciderci. Rivolgerei una sincera indignazione a questo tipo di squilibrio. Sia che si appartenga o meno alla comunità Lgbt+. Fosse non altro per una questione di civiltà.
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