Per spiegare cosa ci sia che non vada nella statua della Spigolatrice di Sapri basterebbe dire che a meno di 24 dalla scopertura del manufatto è nata la pagina Facebook “Pugnette a profusione sulla Spigolatrice di Sapri“. Basterebbe.
Ma possiamo anche dire che già un tizio è corso lì a palparle il sedere. Però andiamo per ordine.
La statua allestita nella città della Campania per volere della giunta comunale locale è in onore della spigolatrice di Sapri protagonista dell’omonima poesia di Luigi Mercantini. Potete leggere qui la storia. Sostanzialmente, nelle rime, un giorno per unirsi alla rivoluzione antiborbonica, la spigolatrice non andò a cogliere le spighe. Parliamo di un evento collocato alla metà dell’Ottocento.
La spigolatrice in forma di statua, quindi la statua, poteva essere il simbolo della presenza femminile nelle battaglie, nella storia, nella letteratura, nelle rivolte. Poteva raccontare come una donna possa essere protagonista di un evento storico e di come possa divenire protagonista di una poesia che parla di battaglia, di nemici, di rivoluzione.
Fa impressione la fotografia istituzionale diffusa alla stampa. Una giunta tutta al maschile, l’ex premier Giuseppe Conte e altri uomini tutti intorno alla statua che ne ammirano le fattezze. Infatti, la giunta di tutti uomini del Comune di Sapri e lo scultore stesso Emanuele Stifano, hanno creato e stanno ammirando un simbolo di sensualità e sessualità: tra forme, postura e abbigliamento, la spigolatrice è una donna in desabillé e senza intimo.
Una donna simbolo della rivoluzione e della presenza femminile nella storia è “Ridotta a uno stereotipo che nulla ci racconta della rivoluzione antiborbonica e che nulla ci racconta dell’autodeterminazione di una donna che sceglie di non andare a lavoro per schierarsi contro l’oppressore”, scrivono in una nota le donne del Partito Democratico chiedendone l’abbattimento.
Il problema della statua della Spigolatrice è culturale. Alimenta la narrazione della donna come oggetto sessuale e sessualizzato e alimenta l’imposizione di un canone estetico ben preciso.
Anzi no: nel merito di diverse opere d’arte alcune donne sono rappresentate seminude (per esempio La Libertà che guida il popolo di Delacroix ha un seno scoperto) e rispondono ai canoni estetici dell’epoca risorgimentale. Lo scultore ha preso lo stile ma non il canone. Ha sovrapposto un pasticcio di nudità e taglia 36 di cui francamente le donne non hanno bisogno. Anzi, da anni interi collettivi tentano di farci tutte uscire dalla gabbia del canone estetico imposto. Il problema, sia chiaro, non è il corpo nudo di una donna di per sé. Il problema è l’uso che si fa di quella nudità, ben lontano dalla liberazione e dall’autodeterminazione.
Infatti molte donne, anche alla luce dell’ondata recente di violenza, che si sono dichiarate contrarie e contrariate hanno espresso un semplice concetto: per quale motivo gli eroi vengono rappresentati in alta uniforme e le eroine in posa sexy?
E’ vero: alcuni uomini sono stati storicamente rappresentati in un modo che oggi riconosciamo come sexy (che gli vuoi dire al David di Michelangelo?). Ma ricordiamo che lo spazio pubblico è stato per secoli essenzialmente frequentato da uomini che di certo amavano essere raccontati come una comunità virile e rispondente ai canoni estetici.
Giunta e scultore da due giorni difendono l’iniziativa. La perversione è nell’occhio di chi guarda, dicono. Ma non ci è voluto molto perché un tizio si precipitasse a toccare il perfetto e tondo sedere della statua. Poi la foto accompagnata dalla didascalia: “Venite qui a dare una tastata, altro che la tetta moscia di Giulietta” riferendosi alla statua di Giulietta Capuleti a Verona che notoriamente nessuno palpa sul seno. Si dice porti fortuna in amore.
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