Infuria sui social, e all’interno della comunità Lgbt+, la polemica sull’esclusione di Polis Aperta dal Rivolta Pride. Polis Aperta è un’«associazione Lgbtqi+ di lavoratori di forze di polizia e forze armate» e in un comunicato ufficiale sul proprio sito ha scritto di esprimere «il proprio rammarico per le parole utilizzate dagli organizzatori del “Rivolta Pride” di Bologna che hanno voluto escludere l’associazione e i propri associati dalla sfilata di sabato 25 giugno».
E ancora: «Ci è stato chiesto di non presentarci con i loghi e lo striscione dell’associazione, ma di partecipare in modo anonimo, quasi dovessimo nascondere chi siamo». Polis Aperta, ancora si duole delle parole riportate sui social rivolte non solo all’associazione, ma alle persone che ne fanno parte. Rivendica, inoltre, il proprio percorso politico dentro il movimento Lgbt+ e a favore della comunità arcobaleno. Concludendo: «Le polemiche sterili non ci interessano, impieghiamo il nostro tempo per costruire ponti, non muri. Le pratiche escludenti non ci appartengono, così come non ci appartiene il dileggio, la discriminazione, il pregiudizio che trasuda da certi toni. Questo odio non ci appartiene».
La polemica, com’è facile immaginare, si è subito fatta rovente ed è rimbalzata da un profilo all’altro. Il Rivolta Pride ha dunque scritto un lungo comunicato in cui difende la propria decisione. «A pochi giorni dal Rivolta Pride ci teniamo a sgomberare il campo da qualsiasi fraintendimento rispetto alla partecipazione dell’associazione Polis Aperta alla manifestazione che attraverserà le strade di Bologna il 25 giugno» comincia il comunicato dell’organizzazione. La quale rivendica il proprio percorso assembleare, nato dal basso. E «che coinvolge decine di associazioni, singole e realtà LGBTQIAP+, nato in occasione della mobilitazione #moltopiudizan» richiamandosi direttamente ai moti di protesta contro la polizia della notte di Stonewall del 1969.
E si legge ancora: «Nel manifesto del Rivolta Pride ci sono elementi di elaborazione politica del femminismo anticarcerario, contro le misure punitive come antidoto alla violenza patriarcale, il riconoscimento del lavoro sessuale come lavoro, la critica al razzismo istituzionale che criminalizza l’esistenza delle persone migranti. Queste soggettività non sono tutelate dalla legge né dalle forze dell’ordine, come ci raccontano i numerosi casi di femminicidi e violenze sessuali, violenze nelle carceri e nei centri d’accoglienza, che spesso non vengono riconosciuti anche in seguito a denunce». Il Rivolta Pride riporta i dati delle violenze ai danni della comunità Lgbt+, dichiarando di voler essere «anche lo spazio di rivendicazione di queste soggettività, che devono sentirsi libere di marciare in uno spazio sicuro».
«Come realtà del Rivolta Pride» si legge ancora «riconosciamo che l’omolesbobitransafobia è presente in tutti i luoghi di lavoro, anche all’interno della polizia e delle forze dell’ordine. Anzi, spesso è proprio in questi settori che le discriminazioni trovano spazio, incentivate da un ambiente, quello delle caserme, intriso di machismo e maschilismo. Per questo, ci teniamo a chiarire che la nostra non è una presa di posizione contro Polis Aperta, ma di critica aperta alle forze dell’ordine come istituzione». Il comunicato si chiude quindi con la necessità di «aprire una riflessione seria sul tema della polizia e delle forze armate e delle discriminazioni vissute dalla nostra comunità».
La comunità si è dunque spaccata. C’è chi ha espresso solidarietà a Polis Aperta, parlando di discriminazione e di esclusione dal pride. Una pratica, secondo i molti commenti che sposano questa linea, che non si addice a una marcia per l’orgoglio. Luogo e momento della nostra comunità che dovrebbe essere invece caratterizzato dall’inclusione verso tutte le soggettività Lgbt+ che operano nell’interesse della comunità. Di parere opposto, naturalmente, chi approva la scelta del Rivolta Pride. Ricordando che non si è mai detto all’associazione di non partecipare, ma di non esibire le proprie insegne. Perché ammettere una realtà i cui membri lavorano dentro le forze dell’ordine andrebbe in conflitto con la piattaforma politica della manifestazione.
Non si vuole entrare nell’ambito della questione. Abbiamo deciso di riportare il cuore argomentativo dei due comunicati e di registrare le reazioni dei fronti opposti, dentro la nostra comunità. Comprendiamo le ragioni di chi vede nelle forze dell’ordine elementi di forte criticità da contrastare, soprattutto laddove queste criticità si traducono in violenza. E ricordiamo, a titolo di esempio, i fatti di Genova e il caso Cucchi. pensiamo che bisognerebbe aver chiara una distinzione. Una cosa è sfilare con le divise della polizia e delle forze armate, come avviene nei pride di altri paesi. Una cosa è la partecipazione di un’associazione esterna alle forze dell’ordine, che racchiude persone Lgbt+ che lavorano in divisa. Forse bisognava aver maggiormente presente questa distinzione. E forse questa polemica ce la saremmo risparmiata. Perché le divisioni, dentro i movimenti, non portano a percorsi comuni, ma rischiano di indebolire tutte le soggettività che li percorrono.
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