Come ogni anno, l’1 giugno segna l’inizio del Pride Month. Un mese intero dedicato alle marce dell’orgoglio e gli eventi ad esse collegati. E tutto questo in occasione della celebrazione di quella fatidica notte, tra il 27 e il 28 giugno, quando la comunità Lgbt+ newyorkese si ribellò alle angherie della polizia locale, cominciando la lotta di liberazione del popolo arcobaleno.
Certo, da allora molte sono state le conquiste in molti paesi, europei ed extraeuropei. Dalla depenalizzazione dell’omosessualità, alle prime forme di unione riconosciute, per approdare al matrimonio egualitario, il riconoscimento della genitorialità e le leggi contro l’odio. O almeno questo è quanto accade negli stati più sviluppati del nostro. In Italia l’azione combinata delle destre (estreme e non), delle forze clerico-conservatrici e del “femminismo” trans-escludente hanno fatto precipitare il nostro paese dietro ad altri ben più omofobi, come l’Ungheria di Orban. E basterebbe questo per capire la necessità e l’urgenza dei pride.
Ma non solo. In queste ore diversi siti stanno pubblicando post di sostegno al Pride Month. Uno di questi è proprio Fanpage, sotto il quale si sprecano commenti derisori, insofferenza e veri e propri insulti da parte di coraggiosi uomini eterosessuali che si nascondono dietro nickname fittizi. Altri invece non sanno cosa ci sia da celebrare e commentano con un “che palle” o fini argomentazioni di siffatta fattura. Deve essere bellissimo vivere con un generatore automatico di commenti sostanzialmente vuoti. Come tutto ciò che deresponsabilizza. E questo, a ben vedere, è parte del problema.
È parte del problema perché da parte dei soliti soggetti privilegiati – e, guarda caso, sono maschi etero – c’è una pretesa di invisibilizzazione su una comunità che continua a essere vessata. Cosa vogliamo ancora? Abbiamo ormai tutto! La società, udite udite, ci accetta pure! Un not all men – questo sguardo eteronormativo – che cambia parole d’ordine e cambia il proprio oggetto di disprezzo. Questa gente preferirebbe che le nostre marce non esistessero, che le nostre rivendicazioni venissero consegnate al silenzio, che la nostra idea di una società più inclusiva tramontasse del tutto. E non certo per noia, ma perché sarebbero costretti a doversi confrontare con i loro pregiudizi, il loro odio contro la comunità Lgbt, la loro indifferenza di fronte alle ingiustizie.
Mai come quest’anno, invece, è importante scendere in piazza a manifestare. E mantenere viva la memoria di quella notte a Stonewall. Non solo perché veniamo da due anni di pandemia, ma anche per quanto sta accadendo in Ucraina, paese aggredito da una nazione che si è distinta – negli ultimi anni – per le leggi anti-Lgbt da parte di Putin e per i campi di sterminio per gay in Cecenia. E perché viviamo in tempi in cui la libertà è messa a serio rischio non solo dai fatti della storia, ma da uno sguardo collettivo: sguardo che ha il nome dell’eteronormatività e che urla sui social e per strada attraverso i suoi orribili giullari. Ed esiste un solo antidoto a tutto questo: la nostra visibilità. Buon Pride Month, dunque. Ne abbiamo bisogno.
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