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Primarie PD, quali sono i candidati più Lgbtqi friendly?

Chi sta non “con chi” ma per “che cosa”. Per andare dove e con quale progetto. Il disorientamento degli elettori Lgbtqi del centrosinistra è lo stesso per chiunque. Domenica 3 marzo si voterà per scegliere il nuovo segretario del Partito Democratico, un tempo il più grande partito di centro-sinistra, oggi in caduta libera nei sondaggi, spinto da un vento che nel Paese arriva da destra e cerca di spazzare di battaglie e vittorie per la comunità arcobaleno.

Si voterà a un anno esatto di paralisi, cominciato la notte del 4 marzo: quel drammatico 18,7 che ha segnato il minimo storico e il tracollo della sinistra italiana in tutte le sue forme: riformista, massimalista, post-comunista, rottamatrice. Il capolinea di una storia breve, quella racchiusa nella parola renzismo.

Non sappiamo se il Partito Democratico riuscirà a fare da argine a questo vento nero, se risollevandosi riuscirà a sfidare il senso comune che sta divorando il paese. C’è però una dichiarazione di intenti degli aspiranti segretari che va ritrovata all’interno delle mozioni depositate e che dovrebbero indicare la rotta del partito che verrà. Le abbiamo lette con particolare attenzione alle questioni Lgbtqi. Proviamo a fare una sintesi, offrire una bussola dunque a chi deciderà domenica di andare a votare:

La mozione di Maurizio Martina: #fiancoafianco

Maurizio Martina

Iniziamo con Maurizio Martina, bergamasco pallido e altissimo di 40 anni, ex ministro dell’Agricoltura e segretario uscente. Renziano ma non troppo. Silenzioso, preparato, solido. Forse troppo silenzioso: capace come per sortilegio di sparire dalle menti un secondo dopo esser scomparso dalla vista. Per questo, forse proprio per questo, Renzi – di certo sensibile al fascino dell’anonimato attivo, operante e diciamo gentiloniano – lo scelse come suo secondo nel ticket per le primarie. Oggi in prima linea non c’è più Renzi, c’è lui.
La mozione sulle questioni Lgbtqi, anzi solo Lgbt, è la più lunga tra quelle presentate. Le abbiamo contate: novecento parole.

“Sappiamo che la legge sulle unioni civili, approvata nel maggio 2016, non è stato un punto di arrivo” si legge “ma un punto di partenza”. Nella mozione Martina si leggono parole di intenti contro la violenza a “sfondo lesbofobo, omofobo e transfobico”, contro il governo che “ha assunto posizioni omotransfobiche”. La voglia di una legge contro l’omotransfobia: “che di fatto estenda le pene dei reati a sfondo razzista e antisemita ai crimini d’odio legati all’orientamento sessuale, all’identità di genere e all’espressione di genere”. Sembrerebbe parlare di un’estensione della legge Mancino.

E forse una riforma sulle adozioni o la stepchild o il riconoscimento della genitorialità alla nascita. “Sia tutelato da norme precise, in cui figli di ogni famiglia possano ricevere la stessa dignità e gli stessi diritti” si legge. Gli intenti si perdono quando non si nominano con precisione le cose.
Ma una legge non basta dichiara Martina. “Per questo, puntiamo a un lavoro di sensibilizzazione inter-istituzionale volto ad un allargamento di RE.A.DY – recita il testo -, il cui scopo è quello di mettere in sinergia l’azione delle Pubbliche Amministrazioni per promuovere sul piano locale politiche che sappiano rispondere ai bisogni delle persone Lgbt, contribuendo a migliorarne la qualità della vita e creando un clima sociale di rispetto e di confronto libero da pregiudizi”.

C’è spazio in questo mare di parole anche per le “nuove forme d’odio”, quello che viaggia attraverso la rete. Però non c’è spazio per una parola: matrimonio egualitario. Si legge infatti: “Un altro obiettivo fondamentale, dopo le unioni civili, deve essere il riconoscimento davanti alla legge della piena pari dignità delle coppie omosessuali”.

La lotta all’omotransfobia è declinata anche attraverso il binomio scuola e educazione. “Con la riforma della scuola dei governi di centro-sinistra sono stati fatti dei passi in avanti – scrive Martina -: ora è importante inserire nel programma ministeriale delle scuole primarie e secondarie un piano di educazione progressivo all’affettività e alla sessualità, per allinearsi a quanto già accade nelle scuole di pari livello in tutta l’Unione Europea”.

Un passaggio anche per il mondo trans: “Riteniamo necessario apportare delle modifiche alla legge 164/82 – già profondamente messa in discussione dalle storiche sentenze della Corte di Cassazione n. 15138/2015 e della Corte Costituzionale n. 221 – affinché le persone in transizione siano considerate soggetti di diritto e sia loro riconosciuta la possibilità di rettificazione del sesso senza che debbano sottoporsi a intervento chirurgico, terapie psicologiche coatte e trattamenti medici e psichiatrici obbligatori”.

E poi l’educazione sessuale. “La prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili – si legge -sia uno degli obiettivi principali su cui puntare per assicurare una migliore qualità di vita, dall’altro per abbattere i costi del Sistema Sanitario Nazionale relativi all’erogazione delle cure”. Si propongono campagne di sensibilizzazione, ma anche centri per salute sessuale gestiti da realtà LGBT come il “BLQ Checkpoint” di Bologna e il “Gay Center” di Roma dove è stato sviluppato un filone progettuale inedito, dedicato alla sieropositività femminile”.

La mozione di Nicola Zingaretti: #PrimaLePersone

Nicola Zingaretti

Sono duecento parole dedicate alle questioni LGBT da Nicola Zingaretti, il candidato alla segreteria del Pd con la vittoria quasi in tasca. In testa nelle preferenze degli iscritti. Un vita a sinistra prima nel Pci romano guidato da Goffredo Bettini, come capo dei giovani comunisti della Capitale: la Fgci. Nel 1991 primo leader della Sinistra giovanile.

Zingaretti può vantare qualcosa, un asso nella manica che gli altri candidati non hanno: le vittorie. Prima ha conquistato la presidenza della Provincia di Roma, poi la Regione. E lo ha fatto nel pieno dell’esaltazione popolare per i Cinque Stelle. Dopo che a Roma Virginia Raggi aveva fatto polpette della candidatura di Roberto Giachetti, si è aggiudicato il secondo mandato battendo Stefano Parisi e la grillina Roberta Lombardi con una coalizione aperta a tutti. Un record: nessun presidente del Lazio era mai riuscito nel bis.

La sua mozione è precisa sulle questioni Lgbti perché le nomina, pur non declinandole spesso. La reazione agli “attacchi che stanno interessando molte conquiste faticosamente ottenute, ad esempio le unioni civili” ma anche “il contrasto, culturale e specificamente giuridico, alla violenza omotransfobica”. C’è spazio anche per le famiglie arcobaleno: “Il riconoscimento dei diritti delle bambine e dei bambini delle famiglie arcobaleno”. E ancora “la protezione dell’identità di genere, la dignità delle persone detenute”. Inoltre nella mozione si parla, seppure genericamente, di “autodeterminazione” riferita anche al genere e all’orientamento sessuale”.

“Abbiamo bisogno di una proposta limpida e priva di ambiguità” scrive. Pure nel rispetto “alla libertà di coscienza degli individui”, auspica un Partito democratico con “una identità aperta, ma forte e coerente, e sulla base di essa un messaggio chiaro e comprensibile”. Zingaretti nomina, quindi dà luce alla questione del matrimonio egualitario, “anche offrendo sedi di discussione su temi come il matrimonio egualitario. A partire dall’irriducibilità di ciascuna persona, diritti sociali e civili si legano indissolubilmente”.

La mozione di Roberto Giachetti e Anna Ascani: #SempreAvanti

Anna Ascani e Roberto Giachetti

Per raccontare la mozione di Roberto Giachetti e Anna Ascani, il ticket iperenziano candidatosi con l’hashtag #SempreAvanti, basterebbe una parola: loading. Per raccontare le questioni LGBT presenti nella mozione si può usare il linguaggio del computer. Quasi 700 parole che però non arrivano mai alla sostanza delle cose. Presentano bene però quel simbolo un po’ ambiguo che i candidati hanno scelto per la campagna: indica play o indica pausa, si chiedono sui social. Ricorda quello che compare sullo schermo quando il programma scelto si sta caricando. Loading, avverte il pc, caricamento in corso. Bisogna aspettare. Ancora.

Roberto Giachetti, radicale da sempre – ha ancora la doppia tessera – tra i padri fondatori prima della Margherita e poi del Partito Democratico strenuo assertore della non violenza, “Bobo”, che di scioperi ne ha fatti molti. Anna Ascani, 30enne renziana di ferro, ma nata politicamente sotto l’ala di Enrico Letta, è di Città di Castello e nel 2009 si è laureata in filosofia.

Quasi 700 parole, ma non dedicate esclusivamente alla comunità Lgbtqi. Guarda verso chiunque: “I più deboli, degli sfruttati, degli emarginati”. Sciorina parole come “dell’inclusione, della parità, del rispetto e dell’autodeterminazione” e apre il partito “indipendentemente dal proprio genere, età, etnia o nazionalità, credo religioso o filosofico, orientamento sessuale, identità o espressione di genere, caratteristica fisica, abilità o disabilità e status personale”. Del resto dovrebbe essere un partito di centro-sinistra.

Giachetti e Ascani ricordano un traguardo della scorsa legislatura: “abbiamo portato a casa leggi storiche, a cominciare da quella sulle unioni civili e sul fine vita, proprio grazie a questo metodo di apertura e di sincera disponibilità reciproca”. Un pieno di memoria. “Il voto per le donne nella Londra dell’inizio del XX secolo, la fine della segregazione razziale e la parità di diritti per gli afroamericani, la parità tra i coniugi qui da noi fino al nuovo diritto di famiglia del 1975 e, appunto, la parità tra coppie etero e omosessuali recentemente acquisita anche in Italia” dicono i due. Fine. Non c’è spazio per nient’altro. Non esistono le famiglie arcobaleno, le persone transgender, le persone sieropositive, l’omotransfobia, il matrimonio egualitario. La comunità LGBT lasciata fuori, anzi messa in pausa. Loading.

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