Che l’elezione di Bolsonaro fosse l’ennesima iattura del tempo presente – in questo momento storico in cui populismi, sovranismi e radicalismi di estrema destra sembrano avere la meglio nelle vicende politiche dei maggiori paesi del pianeta – lo si era dedotto già dalla campagna elettorale, condotta con metodi aggressivi nei confronti dei suoi avversari politici e, soprattutto, nei confronti delle minoranze. A una settimana dal suo insediamento si può fare un mini-bilancio che lascia temere non solo per la qualità della vita del popolo brasiliano, ma addirittura per la stessa tenuta democratica del paese sudamericano.
Una delle primissime misure prese, appena varcata la soglia presidenziale è stata a danno delle persone Lgbt. Il nuovo ministero delle Donne, della Famiglia e dei Diritti Umani infatti non prevede la lotta alle discriminazioni contro la gay community brasiliana, come ricorda Il grande Colibrì. E non solo. I discorsi fatti in precedenza dal presidente vertevano sulla “necessità” di contrastare la fantomatica “ideologia gender”. Insomma, un copione già visto anche alle nostre latitudini. E che in Brasile è divenuto di triste attualità. Non a caso, molte coppie gay e lesbiche hanno deciso di sposarsi entro la fine del 2018 temendo l’abrogazione del matrimonio egualitario.
Colpita una categoria, per la sua specificità, si crea un pericoloso precedente per cui tutte le altre diversità sono vulnerabili. Un’altra categoria presa di mira è quella degli indigeni. «Bolsonaro» si legge su Avvenire «ha trasferito la competenza sul processo di restituzione delle terre ai nativi dalla Fondazionale nazionale dell’indio (Funai) al ministero dell’Agricoltura», in mano alla potente lobby dei latifondisti «che ha tra i suoi principali obiettivi l’espansione della frontiera agricola a spese della foresta e dei suoi abitanti». Tereza Cristina Corrêa da Costa Dias, la nuova ministra dell’Agricoltura, è stata a lungo il capo politico di quella fazione. Una nomina e decisioni politiche che non depongono a favore dei nativi.
Identità sessuali ed etnie “fuori norma” non sono le uniche categorie che hanno molto da temere, dal governo di estrema destra insediatosi in Brasile. È di pochissimi giorni fa – come riporta Il Fatto Quotidiano – la notizia delle purghe nei confronti dei dipendenti ministeriali con contratto a tempo determinato che hanno esternato idee di sinistra: «È l’unico modo per far le cose rispettando le nostre idee e i nostri concetti e di portare avanti ciò che la maggioranza della società brasiliana ha deciso» ha dichiarato Onyx Lorenzoni, il ministro della Casa Civil ovvero l’organo competente per la pubblica amministrazione. Una decisione in linea all’esigenza di “liberare il paese dal socialismo”, altro slogan caro al neopresidente.
La “sicurezza”, poi, è la parola d’ordine di tutti i governi a trazione populista ed estremista. Bolsonaro non poteva essere da meno. La sua ricetta per contrastare la percentuale di omicidi – la più alta al mondo, con 175 delitti al giorno ci ricorda l’Agi – non si basa sulla prevenzione e sulla cultura della legalità, ma rendendo più accessibile il ricorso alle armi. D’altronde, come ha già dichiarato, «tutti i teppisti hanno già le pistole, solo i buoni non le hanno». La ratio sarebbe quella di “scoraggiare” rapine e aggressioni. Per fare ciò, le misure immediate puntano alla riduzione dell’età (da 25 a 21 anni) e la revoca dell’obbligatorietà del rinnovo del porto d’armi.
Anche sui diritti delle donne, il neonato governo Bolsonaro è estremamente controverso. Il già citato ministero delle Donne, della Famiglia e dei Diritti Umani è stato assegnato alla discussa figura della pastora evangelica Damares Alves, ferocemente antiabortista. La quale, per non lasciare adito ad alcun dubbio, ha dichiarato che il ruolo delle donne nella società è quello di essere madri. Ancora Il Grande Colibrì fa notare come la ministra ha comunque voluto incontrare gli esponenti della comunità arcobaleno brasiliana che si sono spaccati sulla sua figura, in quanto per alcune realtà si è comunque mostrata rassicurante e rispettosa, mentre le associazioni lesbiche la considerano ambigua su molti ambiti relativi alla questione femminile.
Come si può notare, molte sono le somiglianze con la situazione italiana anche se il “governo del cambiamento” sembrerebbe avere un atteggiamento meno spudorato – ma non per questo meno preoccupante – contro le categorie colpite dall’estrema destra brasiliana. Dal decreto Pillon alle parole di Fontana, dalle dichiarazioni di Salvini su “gender” e dintorni al tavolo Lgbt di Spadafora (che richiama il tentativo di dialogo di Alves con la gay community in Brasile, come fa notare ancora Notaro sul suo sito), inquietanti sono le analogie. E non è un caso che Salvini stesso si sia congratulato con il leader brasiliano, esaltando l’ennesima sconfitta della sinistra. Analogie che ci devono indurre a essere non solo vigili ma, se necessario, opposizione attiva agli anni bui in cui ci stiamo addentrando. Anche su scala mondiale.
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