Rainbow

In principio fu la donna: trans

Ho scritto questa riflessione, ieri, dopo aver lungamente ponderato ogni singola parola. Una riflessione che nasce da uno sfogo e che si interroga su cosa stiamo diventando, come movimento, e dove vogliamo arrivare. Le ultime vicende politiche, dentro la nostra comunità, stanno portando una parte di noi ad adottare posizioni reazionarie contro persone trans, padri gay ed altre categorie di persone. Posizioni difficilmente distinguibili dai discorsi d’odio che abbiamo ascoltato nelle piazze del Family day. Ho voluto far parlare il cuore. Voglio condividerlo anche qui. Buona lotta, buon futuro.

In principio fu la donna: trans

Sylvia Rivera

Mettiamola così: se non ci fosse stata una trans, quarantanove anni fa, a ribellarsi a un sistema di oppressione – vai a “rivolta di Stonewall“, do you know? – oggi non saremmo qui. Non saremmo ciò che siamo. Dal gay da vetrina alla lesbica da libreria delle donne, dall’individuo più politicamente impegnato dei cinque continenti alla persona più superficiale della galassia. Se siete gay di un certo tipo e oggi potete fotografarvi con la bocca a culo di gallina, a letto nudi a dicembre e aggiungere didascalie del tipo “tra poco a lavoro”, lo dovete ANCHE alle persone trans. Se siete lesbiche di un certo tipo e oggi potete dire no alla ceretta sulle gambe e tendere al modello estetico di Mike Tyson mentre prende a morsi il suo avversario sul ring, lo dovete ANCHE alle persone trans.

Cogliere la differenza e accoglierla

E sottolineo ANCHE. Non “solo”, non “esclusivamente”. A-N-C-H-E. Congiunzione e avverbio. Vuol dire: “Allo stesso modo”, “ugualmente”. E questo è un fatto. Poi ci sarebbero un paio di storie, che dovrei raccontarvi, ma non ho spazio a sufficienza. E allora vi dirò molto brevemente che avevo un’amica – donna trans – costretta a prostituirsi perché siccome era donna e ANCHE trans, non trovava lavoro. Il contesto culturale e una famiglia impreparata a recepire la diversità e a tutelarla, hanno fatto il resto. Conoscevo anche un’altra ragazza, donna trans pure lei, che invece sul marciapiede non voleva finirci affatto. E ha lottato con tutte le sue forze per essere ciò che è oggi: una professionista, nel suo settore. Laureata, con un marito e una famiglia che – pur tra mille difficoltà – è riuscita a coglierla, l’importanza di quella differenza. E a raccoglierla, invece di escluderla.

Si è donne “anche” trans e non “purtroppo”

Manifestazione a favore delle persone trans

Tutto questo è umanità. È progresso, civiltà. Rientra nella sfera semantica della parola INSIEME. Quest’ultima si oppone a un’altra: CONTRO. E invece pare che in tanti/e abbiano preso la parola “anche” per farle assumere il significato di PURTROPPO. E non va per niente bene. Perché poi si tira dietro tutto il resto del pacchetto: non si riesce a stare insieme, perché si è troppo impegnati/e ad esser contro. Che, a ben guardare, è ciò che l’oppressore si aspetta da noi. Lo stesso che ha ricevuto una bottiglia spaccata in testa a New York, nel 1969. Evento di un processo più lungo, che fa parte di una lotta di liberazione che riguarda molti/e di noi: persone Lgbt, donne, neri, ebrei, ecc. Dimenticarlo significa aiutare l’oppressore: quello maschio, bianco, eterosessuale, cristiano e borghese. E indubitabilmente stronzo.

Storie di ragazzi “normali”

E a questo punto ve ne racconto un’altra, di storia: quella di migliaia di ragazzi, maschi, che per il loro essere maschi MA non conformi a una norma – quella dell’oppressore indubitabilmente stronzo, per capirci – vivono una vita di inferno. Nelle scuole, in primis. Alcuni di essi si suicidano e sono sempre tanti. Troppi. Altri ce la fanno e provano a farsi una vita “normale”. Alcuni di questi, nel loro processo di liberazione, e nel recupero di una nuova “norma” – quella che ci ritagliamo seguendo il disegno dell’autodeterminazione – decidono di diventare genitori, da grandi. Laddove è possibile, con le adozioni o con la scienza medica (Gpa per chi non sente la necessità di scriverlo con la bava sui tasti).

Essere genitori gay: scelta ponderata

Una famiglia arcobaleno

Ad altri, invece, non importa. Personalmente ho un grosso problema a immaginare di dover rinunciare al mio spritz del venerdì per cambiare pannolini – tengo orchidee solo perché sembrano immortali e hanno bisogno di poche cure, ma questo è un mio limite (col prezzemolo e il basilico è una storia più tragica) – ma non è questo il punto. Chi opta per la genitorialità, non va al centro commerciale a scegliere carnagione, colore dei capelli, uteri e carrozzine. Lo fa dopo scelte ponderate. E lo fa con l’accordo di donne che decidono liberamente – nei paesi dove la pratica è legale e le donne garantite – di mettere al mondo nuova vita. E sì, anche tutto questo, nasce da quella bottiglia spaccata in testa a un poliziotto coglione e omofobo. Anche tutto questo è una tessera in un mosaico più grande che fa parte della storia di un movimento di liberazione: il nostro.

Essere donne e essere lesbiche

E poi c’è tutto il resto della ciurma: le donne, ad esempio. Che a frequentarle e da quello che ho capito, non è che abbiano proprio la strada in discesa. Sia perché la nostra società è ancora maschilista e misogina, sia perché arriva sempre il pezzo di merda che decide che “tu sei mia”. Anche se tu sei solo tua e quell’altro non può avanzare nessuna pretesa. Nessun diritto. Perché l’unica a decidere del proprio destino – ma vale anche per gli “unici” – è chi vive il proprio corpo. Chi produce in esso sentimenti, emozioni, speranze. Vivendo delusioni, disperazione, dolore. Chi si alza e va avanti. Mi hanno insegnato, le mie amiche donne e femministe, che si chiama autodeterminazione. Insomma, essere donna sembra un gran casino. Figuriamoci se sei donna e lesbica. Mai sia se sei donna e trans. E ANCHE trans (non “purtroppo”).

Atti di libertà, processi di liberazione

Una suffragetta arrestata

E nella ciurma ci sono persone, in nome dell’autodeterminazione a cui tendiamo – e nella cui storia ci vanno le botte prese dalle suffragette dei primi del ‘900 e la ribellione del movimento femminista degli anni ’70, passando per la bottiglia in testa al maschio indubitabilmente stronzo – che fanno altre scelte: le sex worker, ad esempio. Chi fa assistenza sessuale per disabili. Le donne che decidono di rendere padri due uomini (o coppie eterosessuali sterili). Adolescenti che vogliono vivere una vita degnissima, a scuola magari, e decidono di assumere ormoni. Perché l’idea che hanno di sé non è quella imposta dalla società, dalle argomentazioni di qualche teorica ben arroccata nel suo feudo intellettuale o dal caso mediatico di turno che discetta di filosofia in tv. È, semplicemente, la propria. Quella che nasce da un atto di libertà. Che viene sempre dopo un processo di liberazione.

Tra feudi intellettuali ed esclusione

Da un po’ di tempo a questa parte, sembra che tutto questo si stia dimenticando. Giusto per sgomberare il campo da incomprensioni, ambiguità e non detti, parlo esplicitamente dei feudi intellettuali già menzionati: siano essi certe “librerie delle donne” di cui sopra, siano i ruderi di realtà associative che hanno fatto il loro tempo. Congressi alla mano. Sembra che si stia dimenticando che quella bottiglia spaccata in testa al maschio indiscutibilmente stronzo faccia parte della stessa identica storia, pur nella declinazione delle differenze. Sembra che si stia dimenticando che la nostra storia dovrebbe prevedere innanzi tutto la parola ANCHE che rimanda all’INSIEME e non il CONTRO che determina l’esclusione.

Verso un nuovo ipse dixit

Un post trans escludente nella pagina di Arcilesbica Nazionale

Sembra che in quei feudi si stia creando un nuovo principio di autorità che si gloria di un passato importante e degno di rispetto, ma che stenta ad avere legami col presente. E non perché quei valori siano obsoleti, ma perché le modalità con cui vengono recepiti e trasmessi al qui ed ora sono, semplicemente, vecchie. Basate, appunto, sulla contrapposizione. Sulla separazione che pare fine a se stessa. Sull’esclusione ideologica, a cominciare da quelle donne che “purtroppo” – per chi vive in quei e di quei feudi – sono anche trans. Provo a spiegarlo con un paragone: Dante, a parer mio, è fighissimo. Ma se oggi si scrivesse un libro in endecasillabi a terzine incatenate, si verrebbe presi per il culo anche dalla più disgraziata delle case editrici. E Aristotele è fondamentale, ok, ma l’ipse dixit è cosa da stronzi fascisti. Ce lo insegna la storia.

Il grigio e l’arcobaleno

Ho tanto da imparare e molte cose le ho apprese già. Le ho apprese dalle mie amiche femministe e dalle donne trans. Dalle persone non binarie, che mi hanno fatto conoscere un’altra declinazione dell’essere umano. Dal pensiero queer, che mi pone di fronte a un modo nuovo di analizzare il mondo. Non ho la pretesa di dire alle altre soggettività come devono essere, ma mi sembra che tra di noi ci sia qualcuno/a che vuole aggiungere un nuovo colore all’arcobaleno: il grigio. Il grigio delle verità indiscutibili e delle identità – politiche e culturali – che non possono essere messe in discussione. E per dirla tutta, il grigio non è neanche un colore. È solo luce offuscata. Da chi, forse, ne ha guardata troppa: accecandosi. Rimamendo senza prospettiva.

Essere senza prospettiva

Porpora Marcasciano

Considero senza prospettiva chi vuole escludere le persone trans dall’accesso alla dignità. E quella dignità andrebbe ravvisata nel racconto che quelle persone fanno di se stesse, non nell’idea della realtà costruita su un libro scritto quando il mondo era diviso in due da un muro. È senza alcuna prospettiva di democrazia, libertà e autodeterminazione chi dice no, senza se e senza ma: a chi fa scelte che non comprendiamo, alle donne che concedono il loro corpo per una Gpa, per il piacere sessuale o per qualsiasi atto esercitato in nome della consapevolezza. Chi non le ascolta nemmeno, ma le giudica a prescindere.

Una condanna alla solitudine

Considero senza prospettiva e anche subdolamente collaborazionista chi porge il fianco la nemico – il maschio indiscutibilmente stronzo – dalle colonne dei suoi organi ufficiali e nell’alveo delle sue stesse istituzioni, chiesa cattolica in prima linea. Considero senza prospettiva e largamente infelice chi attacca le soggettività e le parole che esse adottano per ritrovarsi, a cominciare dalla “favolosità” in tutte le sue declinazioni. Tutto questo esclude. È contro. Sgradevole come un dito puntato, in una foto in bianco e nero. Utile come una lezione di trigonometria imposta in pullman mentre la scolaresca va a Disneyland. E condanna alla solitudine. Oltre al fatto che ha decisamente rotto il cazzo. O le ovaie, fate voi. È indifferente, anche se può fare differenza.

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