Due dei maggiori organi di stampa del nostro paese aderiranno e parteciperanno ai pride. Si tratta de La Repubblica, che andrà alla marcia dell’orgoglio della Capitale, e de La Stampa, che invece sarà a Torino. Testate, è evidente, che non hanno bisogno di molte presentazioni. Eppure questa scelta, che sembrerebbe di buon senso, sta già facendo discutere dentro e fuori la comunità Lgbt+.
«Abbiamo deciso di partecipare al Pride senza un solo attimo di esitazione» ha dichiarato il direttore de La Stampa Massimo Giannini. «Lo abbiamo fatto sulla base di un principio per noi irrinunciabile: affermare e difendere i diritti della comunità lgbt+ non significa difendere i diritti di una “categoria”, ma difendere i diritti di tutti. Per questo, nel solco dei valori in cui crediamo, che sono quelli della libertà, dell’inclusione, e del rispetto di tutti gli orientamenti sessuali e delle identità di genere, cercheremo sempre di dar voce a chi non ce l’ha e di tutelare chiunque venga discriminato. Consapevoli, tuttavia, che l’obiettivo finale di una società evoluta e moderna come quella che vogliamo raggiungere, sia quello della totale e piena uguaglianza tra tutte le persone».
Di tono simile le parole di Maurizio Molinari, direttore de La Repubblica. Scrivendo ai e alle dipendenti, egli rimarca: «In questi anni abbiamo cercato di connotare sempre più Repubblica come il giornale dei diritti. È una battaglia nella quale crediamo e per la quale impieghiamo i nostri sforzi quotidiani come persone prima ancora che come giornalisti». E quindi: «Per dare un ulteriore segnale concreto quest’anno Repubblica prende parte con uno striscione al Gay Pride di Roma, sabato 11 giugno alle 15». Partecipazione sentita come «un modo per testimoniare la nostra ferma volontà di difendere i diritti di ciascuno».
La notizia, di per sé, è un bene. La quotidianizzazione della lotta per l’affermazione dei diritti e la sua pervasività proprio in contesti come il mondo dell’editoria e dell’informazione è sicuramente un importante passo avanti. Ma c’è un ma. La credibilità di operazioni siffatte che rischiano di ammantarsi del sospetto di quello che viene definito come “rainbow washing”. Ovvero: sposare una causa non tanto perché la si ritiene giusta, ma perché porta lustro – e quindi profitto – alla propria azienda. Non si sta dicendo, ovviamente, che questa sia la strategia delle due testate. Chi scrive, anzi, non ha motivi di non credere nella bontà dell’iniziativa presa dai direttori (per quanto certe dichiarazioni lasciano intravedere alcune criticità, come chiamare “gay pride” i pride). Ma, appunto, è il tempo che darà risposte. E va ricordato, a tal proposito, che l’adesione alla causa necessita di una credibilità profonda e di comportamenti trasparenti.
In tutti questi anni abbiamo denunciato con forza l’inadeguatezza da parte della stampa nel parlare di questioni Lgbt+: dall'”omicidio in ambienti gay” – l’omicidio è omicidio, non è l’ambiente che lo determina o lo caratterizza – al modo di presentare le persone transgender, spesso descritte con toni irriguardosi, chiamando al maschile le donne trans o relegandole a una dimensione “prostituente”. E non solo: sempre in questi anni, molte testate nazionali hanno dato voce a quei personaggi che hanno militato attivamente contro le istanze della comunità Lgbt+. Come si porranno, dopo queste adesioni, La Repubblica e La Stampa con soggetti siffatti? Già Pierluigi Diaco ha criticato la scelta di andare alla parata, con parole e toni che meritano una risposta a parte. E proprio il giornale di Molinari non ha avuto remore a pubblicare un articolo che va sostanzialmente contro il pride e la sua comunità. Questo è quel tipo di incoerenza che non fa bene alla causa e a chi dice di volerla sostenere.
Convinto della bontà dell’iniziativa, è Pasquale Quaranta. Già firma di Repubblica, poi passato al quotidiano torinese, così commenta l’iniziativa rilasciando una dichiarazione a Gaypost.it: «La Stampa e La Repubblica parteciperanno per la prima volta a un Pride. Questo si deve alla sensibilità di due direttori, Giannini e Molinari, convinti dell’importanza dei diritti Lgbt+ come diritti di tutte e tutti, come una questione di democrazia». Il giornalista spera «che altri giornali parteciperanno alle iniziative dell’Onda Pride. Quello che posso testimoniare, nel mio piccolo, è che sono commosso di questa iniziativa del gruppo Gedi e continuerò a sensibilizzare dall’interno colleghe e colleghi sul linguaggio e sulla rappresentazione delle persone Lgbt+ nel superiore interesse delle lettrici e dei lettori anche su questi temi».
Speriamo, insomma, che questo sia un primo passo effettivo per una narrazione più corretta di soggettività e istanze. Certo, gli errori non spariranno come per magia e ci si rende perfettamente conto che il passaggio sarà lento e graduale. Ma forse è arrivato il momento di correggere il tiro. Trovando, sì, equilibrio tra il diritto di parola di tutti gli attori politici e sociali, da una parte, e la coerenza nel sostenere una lotta dall’altra. E al momento la strada sembra in salita. Poi valuteremo cosa verrà fatto. Con occhio vigile e lettura attenta. Anche dei giornali, oltre che della realtà.
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