A partire dalla primavera del 2018, con il primo caso a Torino, grande rilievo mediatico hanno avuto la formazione di atti di nascita con due madri per bambini nati in Italia. Seguirono poi a ruota casi da grandi città come Bologna, Palermo, Napoli, Firenze, Milano, ma anche numerosi da comuni meno popolosi
Nell’aprile del 2018, a caldo della decisione, abbiamo scritto sul punto una breve nota: oggi, a distanza di oltre un anno e mezzo, è importante fare il punto e approfondire un argomento per cui riceviamo ogni mese tantissime domande e richieste: cosa afferma la legge in merito al riconoscimento di due mamme?
Come abbiamo avuto modo di dire più volte, e già a partire dalla breve nota citata sopra, la base giuridica del doppio riconoscimento materno alla nascita è la legge n. 40 del 2014.
L’art. 8 della legge n. 40/2004 dispone che “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6”.
Si tratta di un criterio speciale di attribuzione dello status di figlio, specificamente previsto per le fattispecie di filiazione non spontanea, vale a dire realizzate a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita (di seguito per comodità PMA), di tipo omologo o eterologo.
In particolare, criterio di attribuzione dello status di figlio è, dunque, della responsabilità genitoriale: non è la verità genetica, quanto piuttosto il consenso prestato all’atto di intraprendere la pratica di PMA.
Dunque, il legame genitoriale si fonda (e si instaura), in questo caso, già a partire dal consenso prestato al ricorso alle tecniche in questione.
Consenso che configura pertanto una vera e propria assunzione di responsabilità genitoriale (come si desume dalla lettera dell’art. 6, comma 5 a mente del quale i richiedenti devono essere informati delle conseguenze giuridiche della prestazione del consenso, previste dagli artt. 8 e 9 della legge).
La circostanza che la legge 40 non preveda l’accesso a quelle tecniche alle coppie dello stesso sesso non può essere ostativa al riconoscimento del bambino come figlio di due madri, esattamente come non era precluso il riconoscimento da parte di una coppia eterosessuale laddove quest’ultima avesse fatto ricorso alla fecondazione eterologa all’estero prima che la Corte Costituzionale (con sentenza n. 162/2014) ne dichiarasse illegittimo il divieto in Italia. La violazione di quel divieto era, anzi, il presupposto stesso della tutela (che non sarebbe stata necessaria nel caso di fecondazione omologa) approntata dalla legge 40 all’art. 9 a favore del nato.
La circostanza che la coppia abbia fatto ricorso ad una tecnica di PMA. non espressamente disciplinata dal nostro ordinamento non esclude – ed anzi impone, nel superiore interesse della minore – l’applicazione dell’art. 8 e di tutte le disposizioni che, nella legge n. 40/2004, disciplinano lo status del figlio nato a seguito del ricorso alla PMA.
Le previsioni richiamate, infatti, si fondano sul principio della responsabilità procreativa, unito alla considerazione del superiore interesse del minore alla certezza e stabilità del proprio status di figlio: a tali principi le suddette previsioni restano ispirate, specie per ciò che riguarda le fattispecie in cui si sia fatto ricorso – all’estero – a tecniche di PMA non consentite.
Questo vale tuttora, sebbene la Corte Costituzionale di recente abbia negato alle coppie di donne il diritto all’accesso alle pratiche di PMA con la controversa sentenza n. 221 del 23 ottobre 2019, che in parte getta delle ombre anche sulla formazione di un atto di nascita con due madri.
In ogni caso, indipendentemente della possibilità o meno per le coppie di madri di accedere legalmente alle tecniche di PMA, ritenere che l’applicazione dell’art. 8 non sia nel loro caso consentita si risolverebbe in un’intollerabile discriminazione tra minori, in ragione del tipo di famiglia in cui sono venuti al mondo, e dunque la legge 40 e lo status di figlio per i nati da coppie lesbiche deve comunque trovare applicazione.
Stesso dicasi per quanto riguarda l’essere uniti in matrimonio richiesto dalla norma: poiché un’unione civile o una convivenza stabile di almeno 3 anni (come peraltro già previsto per le coppie eterosessuali) sono da considerarsi requisiti sufficienti.
Dopo aver analizzato la base giuridica del doppio riconoscimento – e in particolare la legge 40/2004 – nella seconda parte di questa guida analizzeremo la lettura che ne ha dato la più recente giurisprudenza nonché le modalità di formazione degli atti di nascita con due madri e gli altri aspetti legali.
Avv. Michele Giarratano
(Gay Lex e Gruppo Legale Famiglie Arcobaleno)
Per maggiori informazioni o richiesta di chiarimenti contattate info@gaylex.it.
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