Sabato scorso sono stato al Pride di Torino, ed è stato molto emozionante perché proprio a Torino, nel 2006, ho partecipato al mio primo Pride.
Avevo appena compiuto 24 anni, e da pochi mesi ero fidanzato con Sergio, allora Presidente nazionale Arcigay.
Iniziavo a fare i conti con una visibilità a tratti anche imposta (per via del ruolo di Sergio), e cominciavo a prendere sempre più consapevolezza di me e dell’importanza della lotta.
Non ero più il ragazzino 13enne che piangeva nella sua stanza al buio di notte perché si sentiva diverso per il solo fatto di essere innamorato di altri ragazzi.
Non ero più l’adolescente 16enne che si domandava se avrebbe potuto un giorno essere padre ed essere felice.
Non ero nemmeno il 19enne che timidamente entrava al Kinky prima e al Cassero poi, né il 22enne che faceva un rocambolesco coming out con i propri genitori.
Ma non ero ancora quello di oggi: sposo di un uomo in Norvegia a 29 anni, e poi padre di due splendidi bambini a 32 e 34 anni, per anni a lottare e fare pace con una visibilità sempre più crescente e difficile da gestire.
Quello che mi sembra non sia cambiato davvero è ciò che mi circonda.
Il fatto che tuttora io come persona, e ancora di più la mia famiglia, non abbiamo i pieni diritti che ci spettano.
Non posso certo dire che la situazione sia la stessa di quel lontano 2006. Ma a tratti – visti tutti gli anni che sono trascorsi – mi sembra quasi che sia peggiorata invece che migliorare.
Abbiamo diritti che prima non avevamo, certo… ma la piena eguaglianza è una chimera, e sono tempi sempre più bui in cui l’odio, l’omofobia, il razzismo, la misoginia e l’avversione per il “diverso” o quello considerato “più debole” la fanno da padrone.
Io però a questi tempi grigi non mi rassegno. Non voglio smettere di lottare né per me né per un mondo migliore da lasciare a Luca e Alice.
Non smettiamo di riscrivere a colori le nostre vite!
Scendiamo in strada, sfondiamo i muri dell’ignoranza e dell’odio!
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