Con 38 voti contrari e 31 favorevoli il Senato argentino ha bocciato la legge che legalizzava l’aborto entro la 14 settimana di gravidanza. Il testo era stato approvato dalla Camera, ma non entrerà in vigore. Nel Paese rimane dunque, il divieto di interrompere la gravidanza, in base ad una legge del 1921 che impedisce alle donne di esercitare la libertà di scegliere se e quando diventare madri. L’unica interruzione di gravidanza possibile è in caso di violenza o di rischio per la vita della donna.
Il dibattito ha letteralmente infuocato il Paese e fuori dal palazzo, in occasione del voto, si sono radunati sia i favorevoli alla legge che i contrari. Se i secondi hanno esultato all’annuncio dell’esito della votazione, i primi hanno, invece, protestato. Si sono registrati scontri e la polizia ha arrestato alcuni attivisti e attiviste. Gli scontri sono tuttora in corso.
“Le convinzioni religiose si sono imposte sul diritto delle donne di decidere del proprio corpo, in Argentina, il paese di Papa Francesco” è il commento del quotidiano spagnolo El País.
L’interruzione di gravidanza resta, quindi, un reato punibile con una pena fino a 4 anni di reclusione.
Il voto favorevole dalla Camera, lo scorso 14 giugno, aveva fatto sperare che i movimenti a favore dell’autodeterminazione della donna avessero conquistato, oltre che l’opinione pubblica, anche la classe politica. Ma è proprio da quel giorno che l”offensiva della Chiesa Cattolica e dei movimenti evangelici argentini si è fatta più pesante, riuscendo ad influenzare il voto finale.
E’ sempre El País a riferire come, nelle dichiarazioni di voto, molti senatori si siano trincerati dietro le convinzioni religiose e la necessità di “salvare vite” per motivare il loro voto contro la legalizzazione. “Un aborto non sarà meno tragico perché è fatto in una sala operatoria. No, sarà altrettanto tragico. L’obiettivo è che non ci siano più aborti in Argentina” ha dichiarato il sentore Esteban Bullrich, ex ministro dell’Educazione, fervente cattolico e difensore del “no” alla legge. Un obiettivo che non tiene conto del fatto che, in Argentina, ogni minuto e mezzo una donna abortisce. Clandestinamente.
Il fronte contrario all’aborto è trasversale tra i diversi partiti rappresentanti. Il senatore peronista Rodolfo Urtubey ha addirittura messo in dubbio l’attuale legge e la possibilità di abortire in caso di violenza. “La violenza è chiara nella sua formulazione, ma bisognerebbe vedere – ha sostenuto in aula -. Ci sono alcuni casi in cui la violenza non ha la stessa configurazione classica della violenza sulle donne, a volte la violenza è un atto non volontario”. Il suo collega di partito Pedro Guastavino, invece, ha denunciato le forti pressioni della Chiesa e il martellamento di messaggi anche minatori via WhatsApp contro chi, come lui, era favorevole alla legge.
Le stime dicono che in Argentina ogni anno ricorrano all’aborto tra le 350.000 e le 450.000 donne. Dovendo fare ricorso a metodi clandestini, i rischi per la salute di queste donne e, a volte, per la loro stessa sopravvivenza, sono altissimi. Ad interrompere le gravidanze sono spesso “medici” non professionisti o che usano metodi come sonde, ganci, ferri da maglia e persino gambi di prezzemolo.
Proprio mentre i senatori dibattevano la legge, una donna di 35 anni e madre di 5 figli lottava tra la vita e la morte a seguito di un aborto clandestino, a Mendoza. Appena una settimana prima la 22enne Liliana Herrera è morta a seguito di una grave infezione, conseguenza di un’altra interruzione avvenuta in condizioni igieniche precarie e senza tutele. Circa 50.000 donne l’anno subiscono complicazioni per aver fatto ricorso all’aborto senza alcuna garanzia di tipo medico e sanitario. Circa 50 perdono la vita. A niente sono valsi gli appelli del ministro della Sanità, Adolfo Rubinstein, e di quello della Scienza, Lino Barañao, di porre fine a tutto questo approvando la legge.
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