Tra le figure più emblematiche di quanto sta accadendo in Afghanistan in questi giorni, c’è quella di Shamsia Hassani. Figlia di profughi, è nata in Iran nel 1988. Quindi nel 2005, dopo la sconfitta dei talebani, è rientrata nel suo paese. Qui ha cominciato la carriera di street artist. La prima, del suo paese. A Kabul, dove è andata a vivere, è divenuta inoltre docente universitaria, insegnando Scultura. Le sue opere, che girano sul web in questi giorni, sono una denuncia della condizione femminile in Afghanistan. E in questi giorni così drammatici, una prova di resistenza al regime integralista.
Come riporta il sito ArtsLife, «i suoi lavori di street art in giro per Kabul sono molto stilizzati e semplici, probabilmente anche per la necessità di essere veloci e non avere problemi di sorta durante l’esecuzione da parte di chi non apprezzava simili iniziative. A maggior ragione se a crearle era una donna». La poetica di Shamsia Hassani è quella di una militanza che coincide con una narrazione. «Voglio cambiare i colori della mia città e coprire tutti i brutti ricordi della guerra, perché sui muri ci sono ancora i segni» le sue parole, per spiegare la sua arte.
Angoscia, disperazione, ma al tempo stesso denuncia sociale e una speranza implicita. È questo il messaggio dell’artista. «Gli ultimi lavori di Shamsia restituiscono al mondo tutta l’angoscia delle giovani afghane. L’oscurità che avanza alle loro spalle. Il senso di solitudine ma al tempo stesso anche la forza di resistere, di non voler tornare indietro. Uno dei simboli più presenti nelle sue opere infatti è il Dente di Leone, il fiore che simboleggia la forza, la speranza e la fiducia» ricorda ancora ArtsLife. Così come possiamo vedere in Death to darkness, un’opera in cui una ragazza sta a terra, col suo vaso caduto e l’incombente minaccia di un miliziano, sovrastante. Eppure il vaso non si è rotto. E il fiore non si è spezzato. Anche di fronte la tragedia, la speranza è lì.
Girano in questi giorni i disegni e le opere di Shamsia Hassani. Un modo per ricordare che le donne afghane ci sono. Non si nascondono. Non hanno paura e vogliono lottare. Ci sono segnali, a Kabul e in tutto il paese, di prime forme di resistenza al regime talebano. «Nelle ultime 48 ore» riporta Repubblica.it «il popolo afghano ha cominciato ad alzare la voce. Ha sfilato per le strade di Kabul e nell’Afghanistan orientale. Al momento dietro al movimento di protesta non sembra che ci sia qualcuno che detta le regole, ma solamente la voglia e il coraggio di un popolo che marcia e canta per la libertà. Con in prima fila le donne. Una forza d’urto cosi dirompente che ha sorpreso i nuovi “padroni dell’Afghanistan”, da Kabul, in quella piazza Abdul Haq intitolata a un comandante anti-talebano, a Jalalabad, dove è stata distrutta la bandiera bianca dell’Emirato Islamico». Forse non tutto è perduto, insomma. La speranza è lì, nonostante il pericolo che incombe.
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