Sorrento: a una coppia gay è stato impedito di unirsi civilmente in una delle sedi di proprietà del Comune. La notizia arriva nel giorno del secondo anniversario dell’approvazione delle unioni civili. E ci fa capire quanto nel nostro Paese è lunga e in salita la strada da percorrere per arrivare alla piena uguaglianza. Ma vediamo più nel dettaglio cosa è successo a Vincenzo D’Andrea e Heriberto Vasquez Ciro, i due ragazzi coinvolti in questa vicenda.
Per celebrare la propria cerimonia, la coppia aveva scelto il Chiostro di San Francesco, attiguo a un convento di frati, ma di proprietà del Municipio. Lì, per altro, si celebrano i matrimoni con rito civile. Tuttavia, ai due ragazzi è stato negato l’accesso a quel luogo per non offendere la sensibilità religiosa dei francescani. Intervistato dal Fatto Quotidiano, Antonio Ridolfi – padre superiore del convento – ha dichiarato: «Ribadiamo da tempo al sindaco che anche quelle celebrazioni» ovvero i matrimoni “etero” «sono poco rispettose della natura religiosa del luogo. La situazione si stava talmente incrementando che abbiamo detto: ci vuole un limite». Il limite sta, appunto, nella discriminazione delle coppie omosessuali.
Giuseppe Cuomo – il primo cittadino, con un passato in Forza Italia – difende il suo operato: «Il chiostro di San Francesco è una delle quattro location che il Comune di Sorrento mette e disposizione di residenti e turisti per la celebrazione di matrimoni ed unioni civili: il museo Correale di Terranova, Villa Fiorentino e il Palazzo Municipale» scrive su Facebook. «Alla coppia di giovani omosessuali abbiamo consigliato, infatti, di utilizzare una di queste tre sedi, sfarzose ed ugualmente suggestive, per coronare il loro sogno d’amore». La ragione? La vicinanza alla chiesa dei frati. «La nostra» continua Cuomo «è stata una iniziativa dettata dal buon senso, senza alcuna intenzione di offendere nessuno né di contravvenire ad un diritto stabilito per legge».
Di fatto, dunque, la coppia è stata discriminata e non potrà accedere al Chiostro, nonostante questo non sia un bene ecclesiastico, bensì pubblico. I ragazzi hanno però deciso di rifiutare l’offerta del sindaco e convoleranno a “giuste unioni” in un comune vicino. Cuomo e Ridolfi rimandano indietro le accuse di omofobia. Si tratta solo di buon senso per il primo, che chiede «rispetto per la carità del luogo». Mentre il superiore, ricorda: «È molto chiara anche la posizione della chiesa su determinate problematiche» e che «questi matrimoni vanno contro la natura stessa del luogo». Non vogliono essere omofobi e invece ci riescono benissimo.
Una cosa bisognerebbe ricordare al sindaco, a questo punto: il suo è un atteggiamento non molto dissimile da quello dei tempi della segregazione razziale negli USA degli anni ’50 o in Sudafrica, in regime di apartheid. Per non offendere la sensibilità di qualcuno – ieri i bianchi, oggi i frati e i credenti più in generale – si impedisce l’accesso a un bene che dovrebbe essere di tutta la comunità. La gravità di questa vicenda non risiede, quindi, solo nell’episodio, ma anche nell’ingerenza della chiesa negli affari dello Stato e nel fatto che siano stati violati sia l’articolo 3 della Costituzione, sia la stessa legge sulle unioni civili che non ammette certi comportamenti. La coppia discriminata, insomma, ha un paio di frecce nel suo arco per agire legalmente contro chi ha reso possibile tutto questo. Contro chi ha provato a rovinare il giorno più bello della loro vita.
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