Due cosette veloci su Spadafora e i pride. I pride, si sa, sono la celebrazione della visibilità. O meglio, delle visibilità. Perché si è gay, lesbiche, trans, bisessuali, ecc. E non si è gay o lesbica in un modo soltanto. I percorsi di transizione possono essere traghettare una persona da un genere all’altro o possono essere improntati sul non binarismo. E via dicendo.
L’accusa di “ostentazione” è il classico mantra preconfezionato da parte dei soggetti privilegiati – cioè gli/le appartenenti alla maggioranza eterosessuale – che non vogliono fare i conti con la diversità. Ci si nasconde dietro il pretesto dell’eccesso perché è comodo ridurre la complessità dell’essere (gay, lesbiche, trans, ecc) ad una definizione di comodo.
È più faticoso, invece, fare lo sforzo di accettare l'”altro da sé” e ammettere che i percorsi di visibilità si traducono, molto spesso, in un’accusa. L’accusa ad un sistema “normativo” che per essere tale ha bisogno di schiacciare chi “normale” non è. Per molto tempo, infatti, ciò che è stato fuori-norma è stato messo anche fuori-legge. E, di conseguenza, fuori dal concetto di rispetto.
Per questa ragione, ai pride, celebriamo le visibilità e pretendiamo che quelle sacche di resistenza al rispetto – giuridico, sociale e personale – verso le differenze vengano superate una volta per tutte. Andiamo in piazza nella coscienza che tutti e tutte possano trovare non solo il loro luogo fisico, quello del percorso dall’arrivo alla fine del corte, ma anche il luogo psichico in cui essere visibili.
Per tutte queste ragioni, diventano irricevibili quelle accuse di “esibizionismo”, “ostentazione” ed “eccesso” che ogni anno, puntualmente, fanno da eco sulla manifestazione. Sono irricevibili se fatte degli eterosessuali, perché è l’ora di smetterla di dire a noi persone Lgbt+ come dobbiamo essere. Per secoli siamo come ci hanno obbligato: invisibili. E se si acquisiva visibilità, poteva essere pericoloso. Dal disprezzo sociale alle leggi restrittive, gravi potevano essere le conseguenze.
Ancora di più risultano odiosi, questi non-argomenti, quando a farli sono persone che si dicono interne alla comunità. Perché sposare e riprodurre i discorsi della massa acritica e che molto ha da farsi perdonare, è qualcosa di imperdonabile. Se Spadafora, a cui non piacciono gli eccessi dei pride, avesse avuto contezza di tutto questo, avrebbe evitato di ripetere a pappagallo – animale non certo noto per la sua autonomia di pensiero – le soliti frasi fatte sulla marcia dell’orgoglio Lgbt+.
E invece che guardare ai nostri, che sono un modo come un altro per coniugare la libertà di espressione, guardi il sottosegretario agli eccessi dell’esecutivo di cui fa parte e alla carnevalata – questa sì – che è divenuto il partito in cui milita, ridotto ad essere lo zerbino politico del suo principale alleato di governo. Forse sarebbe più utile alla causa di quanto possono fare le sue dichiarazioni.
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