Mentre sabato eravamo tuttə impegnatə a festeggiare il ricordo di Stonewall e il ritorno in piazza dei pride, tre episodi di cronaca nera funestavano il giorno dell’arcobaleno. Due aggressioni e la notizia di un suicidio, per l’esattezza. Andando per ordine: mentre all’Arco della Pace si svolgeva la manifestazione dell’orgoglio di Milano, a pochi passi da lì – al Parco Sempione – un dodicenne veniva prima insultato, poi aggredito e malmenato da sconosciuti per il suo orientamento sessuale. Il giovane ha solo dodici anni. E ha dovuto ricorrere al soccorso dalle ambulanze lì accanto. Ma non finisce qui, purtroppo.
La stessa sera di sabato 26 giugno, in via Manzoni, due ragazzi gay sono state vittime dell’ennesima aggressione mentre andavano a cena. Siamo ancora a Milano e siamo sempre nel giorno del pride. Secondo la ricostruzione degli eventi, riportata dal Cig, «un uomo, dopo averli insultati, è piombato su di loro e ha preso a pugni uno dei due, buttandolo a terra e tirandogli calci; l’altro ragazzo, cercando di difendere il fidanzato, si è rotto la mano a causa della furia dell’aggressore. Una camionetta dell’esercito, che stazionava in piazza Scala, è intervenuta richiamata dalle grida e sul posto sono arrivate anche due volanti della Polizia».
E arriviamo al 27 giugno, giorno della vigilia dei moti di Stonewall. Proprio ieri le varie testate nazionali battevano la notizia della morte di Orlando Merenda, un diciottenne che si è suicidato a Torino per l’omofobia a cui è stato sottoposto nel corso della sua vita. «Secondo alcune testimonianze» riporta Fanpage, «il giovane era stanco di essere vittima dei bulli. Lo avevano preso di mira perché gay, racconta al quotidiano La Stampa il fratello del 18enne. Era spaventato da alcune persone, tanto da non volerne fare il nome neppure al fratello». E ancora possiamo leggere: «Tutti i giorni Orlando veniva preso di mira con frasi omofobe e minacce. Quelle parole erano diventate talmente frequenti da aver invaso persino la sua pagina Instragram e i suoi account social». La persecuzione è arrivata a un punto tale che alla notizia della sua scomparsa questi insulti sono andati avanti, sempre su Instagram, con un “a morte i gay”, poi rimosso.
È curioso che nel giorno che ci porta in piazza ipoteticamente accesə da una maggiore consapevolezza di quelli che sono i nostri diritti e delle azioni utili per conquistarli, nonché della dignità di cui siamo portatorə a prescindere dalle nostre identità – la dignità dovrebbe essere un dato acquisito, in quanto esseri umani, e non una patente a punti da riempire con i bollini gentilmente erogati da chi gestisce il concetto di norma(lità) – a far arricciare il naso a moltə non siano stati gli episodi gravissimi che abbiamo appreso dalla stampa, ma gli “eccessi” registrati ai pride. Tra questi eccessi, i due ragazzi travestiti da Gesù, di cui ho già parlato altrove. Per cui non tornerò, nello specifico, su questo argomento. Ma…
Ma mi fa specie che le stesse persone che fanno parte della nostra comunità – complice certo sensazionalismo mediatico a uso e consumo dell’ultradestra – si siano concentratə sul dito puntato contro un cielo in cui campeggia la luna nera dell’omofobia, senza riversare altrettanta indignazione per questi casi, tutti orribili. Dove eravate, voi che vi indignate per certi eccessi – ammesso che di eccesso si possa parlare – quando era l’ora di alzare vibranti proteste contro le violenze che anche nel giorno che dovrebbe riguardarci si abbattono su di noi, violando la sacralità della nostra stessa memoria?
Lo ha detto meglio, e in modo più sintetico, Simone Alliva sul suo profilo Twitter: «Fa più notizia un Gesù Cristo con i tacchi che una coppia brutalmente aggredita, possiamo certificare che l’Italia è un paese finito». Culturalmente, di sicuro. Soprattutto se la nostra comunità si lascia incantare dalle sirene del perbenismo e dimentica le ragioni profonde per cui si scende in piazza. Complice anche la perdita di una memoria storica di cui siamo responsabilə tuttə, noi di ogni possibile vecchia guardia. E a cui dovremmo rimediare (ma questo è un altro discorso, che va affrontato in altre sedi e in modo molto più organico).
Che tra alleatə e persone interne alla comunità stessa faccia più rumore una provocazione – che è sempre conseguente a un sistema culturale che poi produce eccessi (questi sì intollerabili) quali bullismo, aggressioni e morti – che i frutti avvelenati del sistema stesso, è indice della totale mancanza di coscienza politica da parte di chi agita il fantasma del decoro, del pride che rassicura, del dialogo con chi poi, a conti fatti, ci narra come peccatori o sporcaccioni, ci discrimina e fa di tutto affinché lo status quo rimanga invariato. La frase che più ho letto, sparsa qua e là sui social, è: “se vuoi il rispetto, prima devi darlo”. Ma parlate seriamente quando proferite frasi di tale inconsistenza? Frasi che giustificano il persecutore e che condannano le vittime che si ribellano. Frasi intrinsecamente violente.
Oggi è il giorno in cui ricordiamo i moti di Stonewall. Ovvero, una rivolta. Che nacque da una bottiglia spaccata in testa a un poliziotto. E non certo dal tentativo di piacergli. Nessuno andò a dire a quelle persone che erano eccessive. Nessuno andò a sentenziare che il rispetto, per averlo, devi prima meritarlo. Perché non si voleva il rispetto dell’oppressore. Si voleva porre fine, invece, a una vita di soprusi. Ci si voleva prendere la dignità, senza chiedere il permesso. E senza dire scusa a nessuno. Con le buone e anche con le cattive. E quella notte, a Stonewall, lo si è fatto con le cattive maniere.
Non si voleva affatto piacere a chi negava la nostra umanità, gli si voleva spaccare la faccia. Così si è fatto. Non per intrinseca malvagità, anche se a qualcunə piace crederlo, ma per reazione. Ed è questa reazione che si celebra, con tutto il suo portato di sovversione. Non si vuole essere certo violentə – il pride è la manifestazione pacifica per eccellenza – ma nemmeno rassicuranti. E vi svelerò un segreto: pare che la cosa, a lungo andare, abbia pure funzionato. Laddove i pride sono (stati) più “estremi” dei nostri e dove cose come leggi contro l’omo-bi-lesbo-transfobia, la genitorialità, il matrimonio egualitario sono leggi da parecchi anni. Laddove non si è sceso a patti con l’omofobo di turno, ma dove lo si è combattuto. Lasciando a casa perbenismi e prudenze, sempre complici del sistema. Lottando ad ogni livello. E senza chiedere scusa.
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