Una storia che parla di libertà e scoperta di sé. È questa la “poetica” – nel senso di messaggio dell’autrice, letterariamente inteso – che Federica La Rocca e Chiara Gianotto (due studentesse della Nuova Accademia di Belle Arti di Milano) offrono agli spettatori e alle spettatrici del suo cortometraggio, intitolato Andrea. L’intento dell’opera è quello di aumentare la diffusione di informazione e conoscenza in Italia sulla comunità queer attraverso il cinema italiano, in modo da sensibilizzare sempre più persone.
«L’idea è nata in seguito a ciò che ho vissuto in prima persona ormai diversi anni fa» dichiara La Rocca a Gaypost.it. «Io, proprio come Andrea, il protagonista della mia storia, mi sono trasferita a Milano per studiare, dove ho avuto l’occasione di scoprire me stessa in piena libertà, senza i limiti che un paese dove quello dove sono cresciuta portava».
A Milano Federica entra «in contatto con persone che come me stavano vivendo la mia situazione e sono riuscita a scrollandomi di dosso la paura e quella negazione che portavo dentro di me ormai da diversi anni e amarmi per quello che sono. Una persona queer».
Il corto parla del confronto madre-figlio «che non sempre è semplice come si pensa» ricorda l’autrice. «È influenzato da tante cose, a volte anche dalla società che si ha intorno. Un genitore prova a proteggere il proprio figlio dalla crudeltà del mondo e a volte può farlo nel modo sbagliato, ad esempio convincendolo a nascondere chi davvero è». Un’altra tematica affrontata è il senso di estraneità: «La difficoltà che una persona prova nel tornare nel paese in cui è cresciuto e sentirsi un estraneo, escluso da tutto quello che prima lo faceva star bene. Le vecchie amicizie si trasformano e a volte si perdono, e solo le più forti e sincere riescono a resistere alla distanza e a una verità forte come quella che trattiamo nel corto».
Dopo il coming out, infatti, non è stato facile per l’autrice. I silenzi con la madre, l’ostilità dell’ambiente sociale che non capiva la sua identità, spesso confusa come scelta. «Mi rifugiavo nei luoghi, stavo poco a casa, spesso andavo al mare a fare serata con i miei amici, perché mi ha sempre dato un grande senso di libertà. Il mare mi affascina, è immenso e ha una forza incredibile».
E il mare diventa lo sfondo della storia raccontata da La Rocca: «Mi piace andare all’antica tonnara di Avola, dove ho girato, perché amo guardare le onde infrangersi lungo le rovine e vedere come con il passare degli anni cambiano. L’acqua è inarrestabile e io cerco sempre di sentirmi così: inarrestabile, per avere la perseveranza necessaria per portare avanti progetti come questo».
Nata a Pavia da genitori meridionali ma trasferitasi durante l’adolescenza a Canicattini Bagni, in provincia di Siracusa, Federica La Rocca ammette di non sentirsi parte di nessuno dei due mondi: il nord ricco e industrializzato e la Sicilia che sembra un mondo sempre uguale a se stesso. Quest’ultima rappresenta lo scenario del cortometraggio della regista. «Nelle scorse generazioni, nelle piccole realtà, è ancora normale credere che l’omosessualità o il cambio di genere siano una cosa sbagliata, contro i principi tradizionalisti della chiesa cattolica e la natura e perciò si tende ad evitare di parlarne trattandole come tabù».
E quindi il corto nasce perché l’autrice vuol «provare a dare una scossa a queste realtà, andando a girare, non solo dove sono accaduti i fatti, (Canicattini Bagni) ma in una piccola realtà includendo quanto più possibile le persone nel progetto in modo da avvicinarle ad argomenti delicati come questi. Per questo ho fatto degli street casting cercando tra le persone comuni i personaggi della mia storia. Voglio che questo sia un corto in grado di avvicinare le persone e legarle tra loro».
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