Oggi è il Tdov – il giorno della visibilità transgender – che ogni anno si celebra il 31 marzo. Una ricorrenza internazionale che pone l’accento sulla visibilità delle persone transgender. Una categoria la cui narrazione è ancora oggi cristallizzata nel pregiudizio e in narrazioni fuorvianti e poco rispettose dell’identità che quel nome racchiude, nella sua ricchezza e complessità. Gaypost.it ha intervistato persone del mondo dell’attivismo e della cultura, per conoscere il loro punto di vista su questa giornata.
Antonia Monopoli, attivista, scrittrice, attrice e responsabile dello Sportello Trans di Ala Milano, dichiara: «La visibilità ci rende più forti sconfiggendo la paura che abbiamo nel mostrarci e nell’essere uniti nel contrastare le discriminazioni e l’odio nei nostri confronti». Strumento politico ed esistenziale, dunque, che abbatte paure – molto spesso, incastrate nelle coscienze altrui – e che restituisce esistenza, diritto alla vita e alla felicità. E non è l’unica, Monopoli, a pensarla in questo modo.
«La visibilità è probabilmente l’arma più potente che una comunità possa mettere in atto per cambiare le cose» dichiara a Gaypost.it la poetessa Giovanna Cristina Vivinetto. La visibilità «consente, al di là di ogni discorso che si può fare intorno, di esprimere un’urgenza in tutta la sua essenzialità. Essere visibili è dire “ci sono” ma dirlo senza astio, commiserazione, senza rabbia nella voce. È dire “ci sono” ma dirlo piano, cioè dirlo come qualsiasi altra cosa». In questo senso il Tdov assume non solo un significato politico, ma – appunto – esistenziale nel senso più genuino del termine.
E continua, Vivinetto: «Significa togliere il dolore, perdonare. La visibilità è insomma una forma innocua di ribellione e, proprio per questo, forse persino più potente di qualsiasi altra contestazione esibita: perché, inevitabilmente, un corpo visibile che non vuole nulla se non essere visto finisce, per prossimità, con l’accendere nell’altro un meccanismo di riconoscimento e di somiglianza. E quel corpo che ci si ostina a non voler riconoscere, senza accorgercene finirà per appartenerci».
E torna su questo legame tra dimensione politica e vita anche Lele Russo, avvocato e attivista per Arcigay Catania. «Abbiamo fatto alcune riflessioni nel Gruppo trans di Arcigay Catania su questa giornata. Non si tratta solo di visibilità politica o mediatica, sebbene sia importante avere diritti. Andando nel profondo della questione, la visibilità rappresenta posizionamento e genera relazioni. Visibilità significa, appunto, riconoscersi». E nella sua appassionata testimonianza, Russo ci regala un momento in cui questa visibilità diviene vita concreta, esistenza, dignità.
«Un ragazzo di diciassette anni nel nostro gruppo» prosegue Lele Russo «ha fatto coming out come persona transgender, nella sua classe a scuola, in presenza della sua classe e dell’insegnante». L’adolescente «si è dunque posizionato, rendendosi visibile. E non solo: ha fatto concretamente parte della sua comunità con la sua esistenza. È venuto cioè ad essere, perché si è seduto al tavolo di coloro che c’erano. Due ore dopo gli è arrivato un messaggio: “Mi sono ritrovato in te”. È divenuto specchio dell’altro. Ha suscitato negli altri un importante senso di esistenza personale».
Per l’attivista «la visibilità ha una valenza ampia e profonda che andrebbe sviscerata non solo per accedere ai diritti, ma per ricostruire un nuovo immaginario delle persone transgender, andando contro costruzioni stereotipate, imposte e precostuite». Ed sta qui l’importanza del Tdov, per Russo: «Sia per me sia per il mio gruppo» conclude.
E ancora, ripercorre il significato profondo dell’orgoglio. Ma non solo. La visibilità è un costrutto complesso che tocca sensibilità profonde, fatto di percorsi verso la dignità di essere – con coraggio e fierezza – individui pienamente autentici. È un recupero del sé. Emerge questo nella dichiarazione di Mizia Ciulini, impiegata metalmeccanica e militante del Cassero di Bologna, che non si definisce propriamente attivista, ma che dice di se stessa: «Mi piace considerarmi orgogliosamente una di trincea». E sul Tdov ci racconta: «Deve essere una celebrazione orgogliosa dei nostri percorsi non omologati non riconducibili alla tranquilla sicurezza della “regola”». Una celebrazione «del nostro essere visibili anche senza volerlo. Senza mai abbassare lo sguardo».
Ancora vita che si estrinseca tra coraggio, tenerezza e forza. Buon Tdov, insomma. Abbiamo bisogno di tutta tale potenza dell’essere. Essere persone – e quindi carne e sangue, ma anche sentimenti e rappresentazione – che dominano il loro incedere nell’esistenza, con verità e coraggio.
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