A distanza di otto giorni dalla sua uscita su Netflix, vogliamo parlarvi di uno dei titoli del momento: The Umbrella Academy. Con una doverosa premessa: sospendiamo il giudizio sulla serie in sé, visto che abbiamo letto opinioni discordanti in merito. C’è chi l’ha amata, profondamente e da subito. Chi, invece, l’ha trovata noiosa, con vuoti narrativi enormi. Abbiamo, è ovvio, visto le puntate e ci siamo fatti un’opinione. Ma i sentimenti sulla storia di questi supereroi sono molto contrastanti, per cui lasciamo al pubblico il compito di costruire il proprio giudizio. De gustibus, si sa… Prima di continuare, tuttavia, sappiate che questo è un articolo con diversi spoiler, per cui chi non ha ancora visto il telefilm e non vuole rovinarsi la sorpresa, dovrà fermarsi qui.
Se c’è una ragione per cui va vista questa serie, è la magistrale interpretazione di Ellen Page, nel ruolo di Vanya Hargreeves. In pratica, la più sfortunata dei sette bambini adottati dall’eccentrico Lord Hargreeves, priva – ma è poi del tutto vero? – di ogni potere sovrannaturale e per questo tenuta ai margini all’interno della sua famiglia. Abbiamo imparato a conoscere e ad amare l’attrice anche per se sue parole di fuoco contro il vicepresidente Pence, a inizio febbraio. Qui conosceremo al meglio le sue doti attoriali che ci regalano un personaggio fragile, che non ammicca al telespettatore, che ci fa arrabbiare, che genera ora empatia, ora odio profondo nei suoi confronti. E che ci suggerisce una grande verità. Vediamo subito quale.
La famiglia. Questo mito che viene visto come protezione massima, ma che in verità altro non è che uno dei tanti luoghi dove può consumarsi la peggiore violenza. Violenza che può anche essere psicologica. Certo, Lord Hargreeves fa le sue scelte in nome di un bene superiore. C’è un prezzo da pagare, insomma. Ma sul piano simbolico, la lezione che ci arriva è un’altra: c’è uno scollamento profondo tra mondo degli adulti e mondo dei bambini. E un mondo adultocentrico può essere fonte di sofferenza per i più piccoli. Lo vediamo già in alcune scelte, anche politiche, contro i processi di ridefinizione identitaria – pensiamo alle polemiche sui/lle minori transgender – o contro certe letture, ritenute dannose – gli attacchi ai libri “gender”, ad esempio – ma sempre da uno sguardo adulto che non ascolta, non vede, è troppo chiuso in sé.
Come dite? La famiglia dei supereroi in questione non è “tradizionale”? Meglio ancora: come non servono genitori eterosessuali per fare felici i bambini, anche una famiglia non ortodossa può sbagliare tutto. L’uguaglianza, purtroppo, è tale nel bene e nel male. È il concetto stesso di “normalità”ad essere messo sul banco degli imputati, in questa serie tv. E non lo vediamo solo nella critica al familismo – critica nemmeno troppo sussurrata – ma anche nel ribaltamento di alcuni concetti. Come quello dell’amore tra e consoggetti non normativi: come nel caso di Luther, la cui deformità non lo mette “al riparo” dai sentimenti e dal desiderio, ampiamente ricambiati e vissuti (seppur contrastati). O come nel caso della relazione, tenerissima, tra lo spietato killer Hazel e la dolce venditrice di ciambelle, ben più anziana di lui. Semplicemente l’amore, quando deve accadere, accade. Al di là di tabù e convenzioni.
E a proposito di sentimenti non convenzionali: di contro, l’omosessualità e la sua realizzazione affettiva emerge in una quotidianità più che disarmante. Anche The Umbrella Academy non si fa mancare il personaggio dichiaratamente gay, che però non si dichiara affatto. Semplicemente, a un certo punto, Klaus Hargreeves – interpretato da Robert Sheehan che già abbiamo amato oltre modo in Misfits – ci mette in contatto con una storia delicata, anche questa, e profondamente drammatica. Ce la racconta dapprima modulandola sulle note dell’amicizia, poi dando un nome (mai pronunciato) ad essa attraverso un bacio e infine sacralizzandola attraverso la morte di uno dei due personaggi. Come dovrebbe essere, insomma, la “normalità” (e si allude, ovviamente, alla sua quotidianizzazione).
E certo, i motivi possono essere molti altri, dalla presenza di Tom Hopper – che abbiamo già apprezzato in Game of thrones, anche se non fa una bella fine – all’intepretazione di Aidan Gallagher, alias Numero 5, che ci strapperà più di un sorriso. Ma di certo, è il messaggio complessivo il punto di forza della serie. Un messaggio che, come già detto, va oltre alcuni errori nella narrazione – i vuoti, è inutile nascondersi, ci sono e il ritmo a volte diventa difficile da seguire – e che ci ricorda che nessuno è normale, che tutti siamo portatori più o meno sani di disfunzionalità varie, ma che alla fine la soluzione sta nel riconoscersi, nel ritrovarsi e nello scegliersi, vicendevolmente. Per acquisire resilienza e rapporti umani più veri: The Umbrella Academy ci dice proprio questo.
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