Un’aggressione agostana avvenuta al Parco Regio di Torino e resa pubblica solamente adesso. Si tratterebbe dell’ennesimo caso di omofobia in Italia denunciato durante l’estate.
Protagonisti, anzi, vittime della vicenda sono Antonio, insegnante di danza e Bruno, docente alle superiori. Antonio e Bruno sono una coppia e stanno passeggiando mano nella mano in corso Regio Parco. Sono le dieci di sera.
Poco prima del ponte che porta a Corso Regina, Bruno si sente sfiorare la spalle e poi sente un forte dolore. Qualcuno lo sta colpendo al viso. Una, due, tre volte. Cade a terra e urla. I due aggressori, che li avevano raggiunti alle spalle, scappando lasciando in terra lo zaino e il portafogli: non è stato un tentativo di rapina. Qualcuno chiama il 112.
Alla Stampa Bruno racconta: «Avevo paura di aver battuto la testa tanto era il male, ma Antonio mi ha tranquillizzato». E Antonio: «Tutto si è svolto a una velocità impressionante, ero pietrificato».
Poco dopo la chiamata arrivano due volanti ma, secondo il racconto, la polizia risponde che andare a cercare gli aggressori sarebbe inutile. Arriva anche l’ambulanza del 118 che porta Bruno in ospedale. La diagnosi è frattura del setto nasale che necessita di operazione e prognosi di quindici giorni.
Sempre al quotidiano torinese racconta anche di aver sporto denuncia: «Solo la mattina seguente mi sono reso conto che nell’aggressione mi era sparita la catenina che tenevo sotto la maglietta e che non potevano aver visto arrivando da dietro. Sono stati molto gentili (i poliziotti, ndr), hanno detto però che aspettavano il rapporto della volante. Nella denuncia abbiamo dichiarato il furto della catenina, ma non abbiamo potuto parlare di omofobia, dal momento che non è reato. Purtroppo si è poi appurato che non erano state prese le generalità dei testimoni e nemmeno acquisiti i video delle telecamere vicine».
E Antonio: «Al commissariato erano veramente intenzionati a fare indagini, hanno preso a cuore la nostra causa, ci hanno ascoltati più volte. Ma senza elementi raccolti al momento dell’aggressione, purtroppo è finita lì. Tante volte abbiamo letto di aggressioni omofobe e sempre abbiamo detto “poveracci”. Ora sappiamo sulla nostra pelle che se capita, bisogna che tutti agiscano per fare in modo che non capiti più».
Solo adesso, con le ferite fisiche di Bruno rimarginate, la coppia ha deciso di rendere pubblica la vicenda: «Noi continuiamo a passare da quel luogo, nonostante ci sia ancora il segno del sangue, a fare la spesa a Porta Palazzo e a pensare a un viaggio in Marocco».
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