Arriva il momento in cui la vita ti chiede di pagare il conto. È questa la lezione – o, se preferite, il messaggio – di due film a tematica gay, che abbiamo deciso di consigliarvi per queste calde giornate d’agosto. Due pellicole molto diverse tra loro, sia per il genere (drammatica, la prima, una commedia la seconda), sia per l’ambientazione e i sentimenti messi in gioco. Ma nonostante queste divergenze, in tutti e due i film troviamo un bivio. E l’io, chiamato a fare una scelta.
Sarà proiettato questa sera 5 agosto, all’Arena Argentina di Catania, Poppy field di Eugen Jebeleanu. Opera pluripremiata, in Italia e all’estero, che racconta la storia di Cristi, un gendarme rumeno che ha una relazione semiclandestina con il suo amante francese, che viene a trovarlo. E che vive male la propria omosessualità, lasciata in sospeso tra il nido domestico, al tempo stesso rassicurante e asfittico, e il personaggio costretto a recitare di fronte ai suoi colleghi, poliziotti come lui e intrisi di una profonda omofobia.
Tutto sembra scorrere come sempre, tra non detti, silenzi e omissioni. Ma questo castello di invisibilità rischia di crollare sotto il suo stesso peso. La sua unità, infatti, è chiamata a gestire l’occupazione di un cinema a Bucarest, in cui si proietta un film a tematica lesbica. Un gruppo di credenti reazionari impedisce la visione della pellicola. Lì Cristi è messo di fronte non solo la sua identità, i suoi demoni e il suo stesso disimpegno, ma anche di fronte a una persona che viene dal suo passato e che rischia di rivelare a tutti la sua vera identità.
Non è un film che accarezza, Poppy field. Non vuole rassicurare e non pretende nemmeno una redenzione finale. Racconta, con lo sguardo di un crudo realismo, l’omofobia. Sia quella di una società che non sa mettersi in contatto con le diversità, sia quella interiorizzata, forse ancora più problematica e crudele. Perché, sembra essere il messaggio di Jebeleanu, non c’è salvezza che non provenga da sé. Ci interroga, questo film, sulla nostra stessa società. I cui fatti di cronaca, politica e non, non ci portano troppo lontano da quel cinema e dall’odio che le associazioni omofobiche riversano contro le persone Lgbt+.
L’illusione di Antonio è quella di un’esistenza che si è adagiata su se stessa. Fino a quando Lorenzo, il suo compagno con cui è unito civilmente, lo lascia per un altro uomo. Rimasto senza casa e senza nemmeno un lavoro, si deve reinventare integralmente. Accanto a un improbabile coinquilino, che lo educa ad una sessualità più disinvolta. E andando incontro alle sue passioni, che lo porteranno a fare scelte in cui potrà riconoscere finalmente il suo vero io. Per quanto radicali e (in apparenza) incomprensibili.
Mancanza, separazione, vuoto, morte. Tutti temi affrontati con mano leggera, ma con colori vividi. E, accanto a questi, l’amicizia, il sesso (anche compulsivo), l’amore, le scelte inequivocabili. Certo, un appunto che si potrebbe fare al film è che Roma è un po’ troppo pulita. E che tutti i protagonisti sono caratterizzati da una bellezza e una perfezione fisica che forse ammicca un po’ troppo a un certo estetismo gay. Ma il finale, per nulla scontato, riequilibra tutta certa perfezione di troppo.
In entrambi i film, i registi ci accompagnano all’interno di storie assolutamente verosimili, nella loro eccezionalità. E ci pongono di fronte a quel bivio, sempre doloroso, dove una scelta può stabilire il confine tra il tutto e il nulla. Ed è in quel momento lì che la vita ti chiede il conto. Il prezzo da pagare di fronte alla propria autenticità. Un momento assoluto che ci lascia con un nodo in gola. O l’eco sordo di un pugno nello stomaco.
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