Il 25 aprile, i gay e la memoria che non dobbiamo perdere

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Un momento della Liberazione a Bologna (fonte: Panorama)

Cosa penso sul 25 aprile è cosa nota per cui mi perdonerete se dirò cose già scritte in passato, ma è ciò che credo. E credo che la questione Lgbt e la Festa della Liberazione siano due cose strettamente interconnesse, non tanto nel segno di una linearità storica diretta – sì, vi vedo già storcere il naso e no, non sto dicendo che i partigiani e le partigiane andavano a sparare sulle montagne per il matrimonio egualitario nel terzo millennio – ma sul solco di una continuità ideale.

La Resistenza, infatti, lottava per un valore più grande delle singole questioni di categoria: la libertà. Da una dittatura, nello specifico italiano, che aveva privato la società di fatti “banali” come poter parlare di politica al bar, poter dire “questo governo non mi piace”, del futuro di cui ogni giovinezza dovrebbe essere lo scrigno (altro che “primavera di bellezza!”) e i cui sogni furono definitivamente traditi con l’alleanza con Hitler e con il massacro di centinaia di migliaia di ragazzi, al fronte e del resto della popolazione sotto i bombardamenti, la fame e la miseria.

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Vanni Piccolo, storico attivista gay

Quindi, se oggi siamo qui a fare i selfie mezzi nudi con sguardo ammiccante, mentre dichiariamo trentotto di febbre o di essere in procinto di studiare biochimica – quello che potremmo definire come vero e proprio “diritto alla frivolezza” – lo dobbiamo anche a chi, settantuno anni fa, liberava il nostro paese da un sistema politico che non avrebbe permesso l’essere noi stessi/e esattamente come vogliamo. Un doveroso esercizio di memoria storica, perciò, non va solo in direzione di una gratitudine generazionale, ma dovrebbe ricordarci che un diritto, per quanto acquisito, non è un dato incontrovertibile e si deve lottare per mantenerlo tale. Anche quello di fare gli scemi allo specchio, per intenderci.

Ciò non vuol dire, ovviamente, ridurre la data di oggi a sterile querelle antifascista di un certo tipo, perché il fascismo di ieri non c’è più (per fortuna), ma ci sono i fascismi nuovi e le nostalgie di sempre: pensiamo a Putin e a quello che fa nel suo paese. Anche alle persone omosessuali. E sì, se ve lo state chiedendo, è il leader che piace di più a gente come Le Pen in Francia e Meloni e Salvini in Italia. E a questo proposito, vi ricordo due avvenimenti tutti nostrani.

Il primo: al Romics di Roma, Casapound ha rovesciato il banchetto di Shockdom, reo di aver commercializzato il fumetto Qvando c’era lvi, che ironizza sulla figura del duce (questo per ricordare le nostalgie di sempre). Il secondo, a proposito di nuovo fascismo: guardate cosa è successo a Rita Dalla Chiesa quando ha parlato di diritti dei gay alla folla che era venuta a sentire il comizio in sostegno di Giorgia Meloni, candidata sindaco di Roma (e grazie, Rita, sei stata tanto carina, ma la prossima volta fai prima a parlare dell’opportunità di partecipare alla sagra della porchetta di Ariccia a un raduno di vegani).

Manifesto omofobo di Forza Nuova

Manifesto omofobo di Forza Nuova

Perché in altre parole, amici e amiche Lgbt, si fa presto a dire che siamo liberi/e ma è altrettanto semplice non esserlo più, da un momento all’altro. E nel nostro paese le forze del regresso ci sono e non sono soltanto i teppistelli di estrema destra che scrivono “meno froci più famiglia” sui manifesti del pride di Roma, per fare un solo esempio – a proposito: c’erano pure questi qua al Family day, per dirla tutta tutta – ma si nascondono in quelle intenzioni politiche che mirano a renderci sempre meno liberi di essere ciò che siamo/vogliamo.

Il 25 aprile dovremmo ricordare – proprio perché gay, lesbiche, trans, ecc, e proprio perché portatori sui nostri corpi e nelle nostre anime di una liberazione del sé rispetto alla morale collettiva che ci voleva meno noi stessi/e – gli sforzi di chi ci ha regalato una nazione migliore di quella che era stata nei vent’anni precedenti a quella lotta stessa.

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