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L’aggressione all’attore di Empire era una farsa: ecco perché dobbiamo stare attenti a urlare “Omofobia!”

La notizia la conosciamo: l’attore di Empire Jussie Smollett ha orchestrato l’aggressione omofoba denunciata giorni fa che ha sconvolto l’opinione pubblica americana.

Prima dei fatti, prima delle opinioni: le prove

Facciamo un piccola precisazione: negli USA Joe Jervis da ormai 15 anni racconta il mondo Lgbtqi. E diversi anni lo fa con un criterio ben preciso; riporta solo e soltanto i crimini d’odio che abbracciano tra parametri: ci deve essere una denuncia, un arresto, ci deve essere un video di prova del fatto oppure almeno un testimone oculare. Prove, evidenze come quella del video che sta facendo il giro del mondo: il ragazzo aggredito a Salt Lake City, fuori da un bar in Main Street.
Prima i fatti, spiega Jervis. Una regola aurea di un giornalismo che non esiste più in un modo dove quello che conta oggi sono le parole, gli slogan, gli hashtag e pazienza per la verità.

Jussie Smollett è stato aggredito: non ci sono testimoni oculari, non ci sono prove video, non ci sono arresti. Jervis ha fatto uno strappo alla regola: ha riportato la notizia. Del resto Smollet è un attore famoso, gay, attivista per diritti LGBT. In pochissimo tempo quel post sul blog di Jervis è stato ricoperto di commenti scettici: no, dicevano, questa non ce la beviamo.
I commenti arrivavano da attivisti storici, persone lgbt adulte: “Una cosa del genere a Chicago? Molto strano”, si legge. “Insultatemi pure, ma trovo molto strano il tutto. A Chicago poi? Spero che Jussie stia bene comunque” continuano.

L’aggressione come in un episodio di Empire

La storia potrebbe essere benissimo una sceneggiatura della serie tv che ha reso famoso l’attore, “Empire”. Siamo a Chicago a fine gennaio, verso le due di notte Smollet ha voglia di comprare un panino da Subaway, la nota catena di fastfood americana. Degli uomini mascherati arrivano dal nulla, lo circondano, lo picchiano, gli legano una corda attorno a collo e lo cospargono di candeggina. Frocio, negro di merda, urlano anche lo slogan del presidente Trump: “Renderemo l’America grande di nuovo”.
Jussie decide di postare una foto del volto tumefatto. Il cordoglio di solidarietà è immediato, oltre ad attivisti e celebrità, si accodano: Nancy Pelosi, Joe Biden, Kamala Harris, Cory Booker. Persino Trump condanna l’attacco.
Ma è nel silenzio, scrostando la solidarietà di circostanza, che si alimenta lo scetticismo. Smollett non ha voluto denunciare l’attacco ma resta con la corda intorno al collo per 40 minuti, prima dell’arrivo della polizia avvertita dal proprio manager. Perché? Smollet dirà più tardi che voleva preservare le prove. Ma se non aveva intenzione di denunciare l’attacco perché tenersi al collo una corda?

Le incogruenze

Poi c’è lo scenario: una persona famosa presa di mira nel cuore della notte da due razzisti che urlano lo slogan di Trump a Chicago? Chicago che forse nel passato, ai tempi della segregazione poteva essere una città razzista, ma che nel 2016 si è rivelata anti-trumpiana. Qui Hillary Clinton ha vinto le elezioni con l’ 84%. Obama con percentuali che sfioravano il 100%. Supporters di Trump razzisti a Chicago? Impossibile, dicono.
Tutto è mobile in questa storia, tutto cambia e la confusione fa venire i capogiri. Prima Smollet parla di una costola rotta, poi non più. Al momento della denuncia Smollet non aveva dichiarato alla polizia dello slogan di Trump, lo fa solo successivamente durante il secondo interrogatorio. Poi gli aggressori, chi erano? Indossavano il cappello rosso della campagna elettorale di Trump come dichiarato durante un’intervista televisiva dall’attore oppure una maschera come dichiarato alle forze dell’ordine nel secondo interrogatorio. Una guardia di sicurezza in servizio quella notte ricorda che Smollet gli passò affianco, sul ciglio della strada, con una corda intorno al collo ma senza dire nulla.

Dove era il giornalismo

Quello che è successo non è chiaro. Le indagini potranno fare luce. Quello che è invece è chiarissimo è che il giornalismo non ha fatto il proprio mestiere. Non ha verificato i fatti, non ha indagato a fondo. Si è affidato in maniera cieca, stupida.
Il danno cade tutto sulla comunità LGBTQ. C’era un motivo, del resto, se Joe Jervis a un certo punto della sua carriera prende la decisione di riportare solo episodi di omofobia verificati. Una scelta che arriva dopo una serie di episodi ricostruiti ad arte, ricordiamo il più eclatante. Una coppia del Tennesse brucia la propria casa, poi crea il caso: omofobia, sono una coppia lesbica, sono delle vittime  e accusano i vicini. Le indagini della polizia smentiscono e svelano l’artefatto.

Fingere un crimine d’odio è un crimine d’odio

Il vittimismo, la ricerca di attenzione pervade le nostre vite. Un crimine d’odio falso, costruito ad arte è un macigno sulla coscienza della comunità LGBT. E non perché tutte le volte che qualcuno denuncia una violenza rischia di ricevere solo scetticismo e indifferenza. Il finto crimine d’odio è di per sé un crimine d’odio.
La notizia di una persona che viene massacrata per il colore della pelle rende più insicura la comunità nera. L’aggressione a una persona omosessuale o transessuale non indebolisce e umilia soltanto la persona aggredita, ma l’intera comunità. Colpire uno per educarne cento. Gli insulti, le botte, il sangue porta nei sonni dell’intera comunità qualsiasi incubo. Nell’ordinata esistenza di una persona gay, lesbica, trans, fin qui capace di sopportare la modica quantità di giornaliero stigma, qualcosa a un certo punto s’incrina. Improvvisamente, così: perché qualcuno altro, qualcuno percepito come simile viene massacrato per strada. Si innesca un pensiero, il pensiero diventa un’ossessione. La diga frana.

Il danno

Crolla ogni certezza per la comunità, anche nella più sicura Chicago. Se anche lì Jussie Smollet, che è famosissimo, viene aggredito perché nero e gay. Aggredito di notte, come negli incubi. In una città sicura, conosciuta. Come le ombre che entrano dalla finestra di una stanza che conosci, ma non tanto conosci. Dormivano a casa dei nonni. Adesso siamo tutti sicuri, abbiamo tutti paura, siamo tutti minacciati.
Il crimine d’odio non è il pugno che colpisce soltanto qualcuno quando è nero, gay, musulmano. Il crimine d’odio è il pugno che viene sferrato contro l’intera comunità. Le vittime sono molteplici, i danni incalcolabili. Per questo simulare un crimine di odio, un’aggressione omofoba è a sua volta un crimine di odio.

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