Accadeva vent’anni fa: il sacrificio di Alfredo Ormando, in piazza San Pietro a Roma. Siciliano, trentanove anni compiuti da poche settimane, lo scrittore siciliano si sarebbe recato nel pomeriggio del 13 gennaio 1998 nel centro della cristianità per cospargersi di benzina e appiccare il fuoco. Un atto di protesta, avrebbe lasciato scritto in una lettera postuma, contro l’ipocrisia della Chiesa e il suo odio contro le persone omosessuali.
Il contesto d’origine
Originario di San Cataldo, un piccolo centro della provincia di Caltanissetta, Ormando nacque e crebbe in una famiglia di contadini analfabeti. Il suo contesto sociale non era stato per nulla benevolo, nei confronti della sua omosessualità. Eppure, nonostante le condizioni sfavorevoli, aveva cercato di emanciparsi da quello che appariva un destino segnato. Al momento del suicidio, infatti, l’autore era iscritto all’Università di Palermo e aveva cominciato la sua carriera letteraria.
La pianificazione del suicidio
L’ostilità del contesto di riferimento, insieme alle delusioni ricevute da una Chiesa alla quale sentiva di appartenere ma da cui si sentiva costantemente rifiutato, lo indussero a pianificare il suo gesto: «I miei preparativi per il suicidio procedono inesorabilmente» scrive nella lettera che ci ha lasciato, «sento che questo è il mio destino, l’ho sempre saputo e mai accettato, ma questo destino tragico è là ad aspettarmi con una certosina pazienza che ha dell’incredibile».
L’accusa alla Chiesa cattolica
Quindi parte per Roma, dopo aver chiesto un prestito di centomila lire ad un affittacamere di Palermo e dopo aver avvertito la madre che avrebbe lasciato Palermo per motivi di studio. «Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa che demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l’omosessualità è sua figlia». Le conseguenze saranno devastanti: riporta ustioni gravissime sul 95% del corpo e dopo dieci giorni di agonia, morirà all’ospedale romano di Sant’Eugenio.
L’eredità di Ormando
Una figura, la sua, che ci interroga ancora sulle conseguenze che l’odio sociale nei confronti della comunità Lgbt può portare nella vita delle persone. Un suicidio, il suo, maturato in un milieu sociale che lo ha disprezzato a lungo e che forse, ancora oggi a vent’anni di distanza, non si è del tutto estinto, soprattutto in quella provincia lontana dove migliaia di gay, lesbiche e persone trans vivono ancora tra numerose difficoltà. Un atto, ancora, che punta ancora il dito sull’azione della Chiesa nei confronti della gay community. Atto per cui, da Oltre Tevere, non sono ancora arrivate parole di comprensione e nessun atto di autocritica.
La chiesa è una istituzone violenta e tutti quei gay che vi cercano in qualche modo rifugio ne vengono inevitabilmente violentati anche senza renderseno conto. L’unica salvezza è fuggire dalla Chiesa, bandirla dalla prorpia vita, purtroppo alcuni gay non riescono a farlo, a causa di una educazione che li ha definitivamente segnati a vita. Ermanno era uno di questi sfortunati.