Svolta storica in Serbia: Ana Brnabic, diplomata in marketing nel Regno Unito, di grande esperienza manageriale e dichiaratamente lesbica, è la nuova ministra per la Pubblica amministrazione. È la prima volta che accade a Belgrado. Un decisivo cambio di passo per il paese balcanico, se si pensa che l’omosessualità è ancora percepita con un fortissimo senso di stigma e che più volte i pride sono stati vietati o hanno subito violenze per la presenza di movimenti ultra-nazionalisti. Svolta che viene interpretata, dagli analisti politici, anche come tentativo di avvicinamento all’Unione Europea – tra i criteri di ammissione all’Ue vi è anche il discorso sul trattamento delle minoranze – e quindi fondamentale per avviare i negoziati.
Difende la sua scelta il premier Vucic, leader del Partito Progressista: «So che la mia decisione potrà suscitare critiche e polemiche in un Paese come il nostro, ma non guardo all’orientamento sessuale, sono interessato esclusivamente ai risultati». Ed esultano anche le associazioni Lgbt serbe. Per Gay Strait Alliance: «Si tratta di un enorme passo avanti verso la costruzione di una società basata sulla parità dei diritti». Un altro segno del cambiamento del paese slavo, dopo l’ultimo pride, quello del 2015, che si è svolto per le vie della capitale senza gli incidenti che lo hanno caratterizzato in passato. L’onda rainbow, insomma, partita nei decenni passati dalle coste dell’Atlantico, non ha solo bagnato le rive del Mediterraneo, con le recenti unioni civili approvate in Italia, Cipro e Grecia, ma fa sentire i benefici effetti della sua brezza anche nelle zone più interne della penisola Balcanica. Un cambiamento che lascia ben sperare.
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