«Questa foto è stata scattata a settembre 2012. Eravamo in Calabria, visto che non era iniziata la scuola. Se osservate le sue mani, non portava ancora lo smalto sulle unghie» comincia così la condivisione su Facebook di Teresa Manes, la mamma di Andrea, meglio conosciuto come “il ragazzo dai pantaloni rosa”. Suo figlio si è suicidato il 20 novembre del 2012, a quindici anni appena compiuti. Da quel momento, si batte con tutta se stessa per combattere il bullismo. Perché Andrea di questo è morto. Di bullismo omofobico. Perché aveva i pantaloni di un colore non convenzionale e lo smalto alle unghie.
«Indossava un anello che avevamo trovato, mesi prima, nel sacchetto delle patatine» continua ancora, nella sua narrazione, la mamma di Andrea. «Un pomeriggio, ai giardini di San Paolo a Roma, comprai 3 pacchi. Quindi avevamo 3 anelli, uno ciascuno. Rosso il mio, giallo quello del fratellino Daniele e rosa (neanche a farlo apposta) il suo. Qualche settimana dopo, voleva riprendere gli studi di pianoforte ma, per farlo, gliene serviva uno (o, almeno, occorreva che gli procurassi una pianola professionale). Per prendere tempo in modo da organizzarmi con la spesa da affrontare, gli consigliai di avere cura delle sue unghie. Era solito mangiarsele, in effetti».
«Oggi so che questo poteva essere l’espressione di uno suo disagio. E doveva essere molto profondo, visto che era passato pure a quelle dei piedi» scrive ancora Teresa Manes, nel suo ricordo del figlio. Un ragazzo sì vittima di omofobia, seppure non omosessuale. C’era una ragione per cui Andrea si dipingeva le unghie e ce lo racconta la donna, nella sua condivisione:
«”Usa lo smalto”, gli dissi.
“Posso usarlo colorato?”
“Certo”, risposi.
A scuola venne preso in giro da un insegnante».
E qui il racconto diventa, se possibile, ancora più inquietante.
Un insegnante, infatti, dovrebbe farsi carico del benessere dei suoi allievi e delle sue allieve, non certo ricolizzare le persone, per quanto giovani, che gli sono state affidate. «Lo riprese davanti a tutti dicendo che aveva infilato le dita nella marmellata. “Che avrò detto mai?”, mi disse lo stesso all’obitorio, quando, davanti al corpo di mio figlio nella bara, mi tiravo l’aria dal fondo della pancia per non morire. Oggi qualcuno mi ha scritto suggerendomi di non sottovalutare il problema del bullismo praticato dagli insegnanti. E non lo faccio. Perché per quelle battute, ridondate tra gli sghignazzi della classe e insignificanti a parere di qualcuno, Andrea è morto e io ancora crepo».
Abbiamo ritenuto doveroso condividere questa testimonianza. Il bullismo è sempre sbagliato, a prescindere dall’oggetto della persecuzione. E l’omofobia colpisce anche i ragazzi eterosessuali. Chi pensa che la cosa non lo riguardi, non fa altro che permettere a un certo discorso d’odio di propagarsi liberamente. E questo è inaccettabile.
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