Il caso della pseudo-espulsione di ArciLesbica dal Cassero di Bologna ha generato un dibattito interno ed esterno al movimento Lgbt, che si è basato sostanzialmente su una bufala (l’associazione non è mai stata cacciata da nessuna sede) e che ha portato a generare da una parte malintesi e malafede, dall’altra ha generato una narrazione pericolosa, a parere di chi scrive, per gli interessi della nostra comunità. Cercherò di spiegare perché.
Nessuno ha mai cacciato ArciLesbica
Sgomberiamo il campo da qualsiasi ambiguità. Nessuno ha cacciato nessun’altra. Semplicemente, l’accordo per la fruizione dei locali era – oltre Agedo e Famiglie Arcobaleno – tra Arcigay Bologna e ArciLesbica Bologna: quest’ultima si è disaffiliata, fondando Lesbiche Bologna. Quest’associazione rimane in sede, come da accordi pregressi. Come ha chiarito il Cassero stesso «ogni altra associazione, per avere accesso agli spazi, dovrà costruire accordi con le realtà assegnatarie, che si fanno carico di tutte le responsabilità connesse, in sede istituzionale e giudiziaria». Chi vuole accedervi, dunque, deve solo accordarsi con le altre realtà presenti. Principio che vale per chiunque. Parlare di espulsione è, dunque, una mistificazione. Siamo nell’ambito delle fake news.
L’accusa di fascismo ad Arcigay
Su questo falso storico si innesta la reazione di una certa parte del femminismo italiano. Quella che ai tempi della discussione sulle unioni civili prestò il fianco ai movimenti omofobi schierandosi contro le stepchild adoption, perché avrebbero portato all'”utero in affitto”. Lo stesso femminismo che vorrebbe escludere le donne trans dai luoghi frequentati dalle donne cisgender, come le corsie degli ospedali in caso di malattia. Lo stesso che auspica la prigione per i padri gay, per capirsi. Reazione scomposta e volgare: Arcigay è stata accusata di fascismo, i suoi soci ridotti a maschi gay egemoni e le donne presenti in essa insultate come “povere ancelle devote”. Quando si ha stile, insomma.
La solidarietà di personaggi esterni al movimento
In base a tutto questo, suonano strane certe prese di posizione e certi attestati di solidarietà. Un esempio su tutti: Paola Concia. L’ex parlamentare, che non ha mai fatto del movimento Lgbt e mai lo ha rappresentato, si arroga la pretesa di dire al movimento come deve essere. Ma non è l’unica. Varie sono le voci che soffiano sul vento della polemica, anche internamente alla nostra comunità, contribuendo a veicolare un messaggio fuorviante e accusando di perseguire un non meglio identificato “pensiero unico” che elimina le differenze e non ammette voci di dissenso. Dov’è che l’abbiamo già sentita? Ah sì, sul palco del Family day.
L’accusa di “pensiero unico”
Sull’accusa di “pensiero unico” vale la pena spendere due parole. Partiamo da una domanda preliminare: è proficuo adottare il linguaggio e la terminologia dei movimenti antigay? Si rischia di portare acqua, più che al proprio mulino, a quello di chi è contrario ai nostri diritti. Chi usa certe espressioni, dunque, si sta prendendo la responsabilità storica di sdoganare le realtà omofobe. Mettiamoci nei panni della casalinga di Voghera o dell’idraulico di Caltanissetta: se l’accusa arriva da una parte sola, è un discorso. Ma se anche l’accusato adotta certe parole e sposa quel pensiero, gli si conferisce credibilità. La vicinanza di femministe e personalità Lgbt ai movimenti omofobi sta sostanzialmente in questo: nel fuoco amico. E siccome i nemici sono tanti, non se ne sentiva di certo il bisogno.
Arcigay non ha una posizione sulla Gpa
Ancora: in cosa consisterebbe questo pensiero unico? Davvero il movimento Lgbt – quello che sfilerà nelle prossime settimane nei pride delle varie città italiane – prevede espulsioni e pratica epurazioni? Nel caso specifico, ricordo che Arcigay, di cui il Cassero fa parte, non ha ancora una posizione su temi quali la Gpa. Accusare tale associazione di epurare le voci dissenzienti su questioni su cui non si ha una linea condivisa è semplicemente ridicolo. Evidentemente, ArciLesbica – insieme al suo corredo di accuse – ha bisogno di nutrirsi di questo. Scelta legittima, per carità. Di certo, dequalificante. Ma non sarò io a dire a realtà che non mi rappresentano e da cui sono distante, quale immagine dare di sé.
Il movimento Lgbt è possibilista, non escludente
Inoltre: quella parte di movimento possibilista su Gpa, omogenitorialità, sex work, ecc, vuole davvero zittire chi la pensa in maniera opposta? Da quello che mi risulta, nessuno pretende che chi è contro certe questioni si schieri a favore. Le perplessità vengono, semmai, quando si vogliono imporre a tutti e tutte la propria visione su quei temi e i propri valori di riferimento, come pretendono invece ArciLesbica e sodali. Anche con la minaccia di azioni penali, istituendo reati universali e prevedendo la galera per i genitori gay. La parte possibilista del movimento Lgbt prende atto, invece, che certi temi possono essere divisivi. Insomma, sembra che chi si lamenta di esser stata epurata, ha operato un vero e proprio caso di proiezione.
L’articolo su Avvenire
Mentre tutto questo si consuma, incassando la vicinanza di testate come Avvenire e di ProVita – realtà tradizionalmente nemiche delle istante Lgbt – chi lamenta l’impossibilità di dire la sua poi pretende, di contro (e come si legge nelle varie prese di posizione), che il proprio punto di vista resti intoccabile, facendo valere che il principio secondo cui le dinamiche interne del movimento delle donne vada commentato solo dalle donne. Posizione rispettabile, quest’ultima. Tale prospettiva cambia, tuttavia, quando certe dinamiche e la cultura politica da esse prodotte coinvolgono soggetti terzi, esterni ad esse.
Padri gay e trans hanno il diritto di criticare ArciLesbica
Sia chiaro: se ArciLesbica decide di fare i propri congressi prendendosi a mazzate, fatti suoi. Se le sue attiviste vogliono costruire muri dentro i quali rinchiudersi e ciò le fa felici, non è affare che ci riguarda. Se invece elaborano una politica in cui si criminalizzano i padri gay e si vogliono escludere le donne trans, allora padri gay e donne trans hanno il diritto di dire la loro, in merito. Si chiama democrazia. È scritto nella Costituzione. E non c’è interprete dei libri di Marx – letto male, a quanto pare – o teorica del femminismo che possano avere la pretesa di superare il principio della libertà di pensiero e opinione.
Se nessuno vuol farmi entrare a casa sua…
Evitiamo, quindi, di agitare lo spettro del “pensiero unico”. Non solo è un’espressione inelegante e infelice – anche per chi la utilizza, nel nostro Paese – ma non corrisponde a verità. Se tutto il mondo mi dice di fare attenzione, perché se vado verso una determinata direzione rischio di finire in un letamaio, poi c’è il rischio che ne venga fuori maleodorante. Se nessuno, di conseguenza, vuol farmi entrare a casa sua, ci sarà una ragione oggettiva. E non posso bollare come “pensiero unico” l’eco di un intero universo che ha avuto solo l’accortezza di dirmi “attento, stai pestando una merda”.
Una questione di democrazia
Sarebbe bene, perciò, che venisse interiorizzato questo elementare principio democratico. Farebbe bene, ancora, interrogarsi sul perché certe posizioni raccolgono l’ostilità della gay community e la solidarietà dei nostri naturali nemici. Nel momento in cui qualsiasi soggetto attacca il nostro accesso alla dignità – in quanto persone Lgbt, per esser chiari – allora ciò diviene affare di tutta la comunità e di tutto il movimento. E ciò vale anche per gli attacchi interni alla nostra realtà. Poi ognuno è figlio del suo tempo, siamo d’accordo, ma attenzione a non trasformare quel tempo in una prigione ideologica. Il rischio è quello di divenire obsoleti, con la scusa di fare i custodi della storia e della tradizione.