Lo scorso lunedì 7 novembre la camera alta del parlamento australiano, con 33 voti contrari e 29 a favore, ha respinto la proposta di una consultazione nazionale sui matrimoni fra persone dello stesso sesso.
Il referendum era stato proposto in agosto dal governo di centrodestra guidato dal primo ministro Malcom Turnbull e si sarebbe dovuto tenere a febbraio.
La bocciatura è un duro colpo per il primo ministro ma era nell’aria, tanto più che in Senato il governo non ha la maggioranza e fatica non poco dunque a lavorare.
Ovviamente questa bocciatura potrebbe anche significare che la legalizzazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso slitti ancora di anni, poiché senza il sostegno del parere degli australiani (che secondo recenti sondaggi sono favorevoli ai matrimoni fra persone dello stesso sesso, con percentuali di oltre il 60% della popolazione) il governo potrebbe decidere di non esporsi su questo tema.
L’opposizione, guidata dal partito laburista, però, ha ritenuto di votare contro la proposta di referendum perché questa avrebbe rischiato di innescare un movimento d’opinione spiacevole contro la comunità lgbti e in generale delle polemiche non necessarie, considerato che è il Parlamento a poter (e dover) decidere sulla questione.
Secondo Janet Rice, portavoce dei Verdi sui diritti delle persone lgbti, in particolare, sarebbe stato un percorso non necessario su un terreno molto difficoltoso.
Va detto infine, comunque, che – a differenza che nel nostro Paese – il referendum in Australia è evento assolutamente raro e marginale, tanto che l’ultimo si è tenuto nel 1977 per scegliere l’inno nazionale.