“Ti senti a tuo agio nel genere con cui sei nato?”. È questa la domanda contenuta in un questionario del Sistema sanitario britannico e rivolto ai bambini della sesta classe della scuola primaria (tra i 10 e gli 11 anni) che ha scatenato non poche polemiche. In realtà, secondo quanto riporta il Daily Telegraph, erano due. La seconda chiedeva ai bambini di scegliere il proprio genere tra tre opzioni: maschio, femmina o altro.
Domande volute, ha spiegato l’ente proponente a genitori e insegnanti, per capire meglio le esigenze dei bambini che non si identificano come maschio o come femmina e per capire quanto è esteso il fenomeno per adeguare meglio la risposta.
Il Gender Identity Development Service (GIDS), dipartimento del Sistema sanitario nazionale che si occupa delle questioni di identità di genere, ha stimato che nel 2016 sono stati 84 i bambini tra i 3 e i 7 anni che i genitori hanno portato nei centri medici per questioni legate proprio al genere per chiedere supporto. Nel biennio 2012 – 2013 erano solo 20. La cifra sale a 165 se si considerano i bambini con meno di 10 anni e a 2016 tra gli under 18.
Da questi numeri l’esigenza di sottoporre il questionario nelle scuole. Esigenza che, però, è stata accolta dalle proteste dei genitori al punto che il Sistema sanitario nazionale ha annunciato ieri che le domande in questione saranno eliminate dal sondaggio. La questione non ha lasciato estranea la politica. Il parlamentare Tim Loughton, eletto nelle liste del partito conservatore, aveva definito le domande “profondamente preoccupanti”. Per i genitori, poi, il questionario era troppo invasivo e rischiava di confondere i bambini.
Che dei bambini trans, di quelli con genere fluido e, in generale, di quelli che non rientrano nel binarismo “maschio-femmina” si parli poco è un dato di fatto. Sostenere che affrontare il tema proprio con i più piccoli e porre loro domande crei “confusione” e sia “profondamente preoccupante” rischia solo di marginalizzare proprio i bambini, lasciando spazio al malessere invece che ad uno sviluppo sereno.
Basterebbe, infatti, confrontarsi con i genitori che davanti ai loro figli “non binari” hanno voluto osservare e comprendere, invece che “correggere”, trovando attorno a loro il vuoto in termini di informazioni e supporto specialistico.
È la storia che racconta, ad esempio, Camilla Vivian, autrice del libro “Mio figlio in rosa”. Nato dall’omonimo blog, il libro racconta la storia di Federico, il secondo figlio di Camilla, che fin da piccolissimo ha manifestato di non identificarsi come maschio, ma neanche esclusivamente come femmina. Un bambino che ha avuto la fortuna di una madre che si è messa in ascolto, nonostante gli occhi di tutti puntati addosso, senza giudicare e con l’unico obiettivo della felicità e del benessere di Federico. Una scelta che, però, ha messo Camilla nella difficile condizione di ritrovarsi senza punti di riferimento, senza informazioni e senza specialisti con cui consultarsi. Ma è anche la storia di Mariella Fanfarillo e sua figlia Olimpia, giovanissima ragazza trans che ha ottenuto il diritto al cambio di genere sui documenti prima ancora di compiere 18 anni.
Di queste e di molte altre storie si parlerà domani, 13 dicembre, al convegno “Mio figlio in rosa” (dal titolo del libro, appunto) che sarà ospitato dal Senato (dalle 14.30, presso l’Istituto Santa Maria in Aquiro, Piazza Capranica, 72, a Roma). Alle domande nate dai racconti di chi vive ed ha vissuto con bambini non binari, risponderanno psicologi, neonatologi ed endocrinologi. Ad introdurre, ci saranno Monica Cirinnà e Sergio Lo Giudice, entrambi senatori del Pd. Il convegno è aperto a tutti: per partecipare bisogna accreditarsi seguendo le istruzioni illustrate nell’evento Facebook.
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