Una coppia non può riconoscere un figlio come suo se il bimbo è stato generato senza alcun legame biologico con i due aspiranti genitori e grazie ad una madre surrogata. È quanto stabilito dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo che, ribaltando un suo stesso pronunciamento dello scorso 27 gennaio 2015, si è espressa sul caso di una coppia eterosessuale sposata che era ricorsa alla gestazione per altri in Russia. Nessuno dei due aspiranti genitori, però, risultava avere legame biologico con il bambino. Al momento della trascrizione dell’atto di nascita in Italia, il comune aveva risposto negativamente. Per la Cedu l’Italia non ha violato il diritto della coppia negando la possibilità di riconoscere come proprio figlio il bambino nato in Russia.
Un cambio radicale
“La sentenza di Strasburgo è un cambio radicale rispetto a quella di primo grado: non viene più considerata la vita familiare del bambino come da proteggere – commenta secondo quanto riporta l’Ansa, l’avvocato Alexander Schuster, ricercatore del gruppo di biodiritto e biogenetica dell’Università di Trento -. La sentenza è stata decretata con undici voti a sei, ribaltando i cinque a due del primo grado”.
Dopo la nascita del bambino, la coppia era rientrata in Italia con un certificato di nascita che li identificava come genitori, secondo quanto stabilito dalla legge russa sulla gestazione per altri. Al comune di residenza dei coniugi, però, era giunta una dichiarazione dell’Ambasciata italiana in Russia secondo cui il certificato dichiarava il falso. Da lì il rifiuto di trascrizione e la decisione di dichiarare il bambino adottabile affidandolo ai servizi sociali. Quando il tribunale per i minori competente dispose l’assegnazione del bambino alle cure dei servizi sociali e ad una struttura adeguata, il piccolo aveva solo otto mesi di vita.
Cosa dice la Cedu
“Vista l’assenza di qualsiasi legame biologico tra il bambino e i ricorrenti, la breve la durata del loro rapporto con il bambino e l’incertezza dei legami tra di loro da una prospettiva giuridica, e nonostante l’esistenza di un progetto parentale e la qualità dei legami emotivi – si legge nel comunicato stampa diffuso dalla Cedu -, il giudice ha ritenuto che una vita familiare non esisteva tra le ricorrenti e il bambino”. La Corte, dunque, non ha valutato il caso in base alla tecnica di procreazione scelta dalla coppia, cioè la gestazione per altri, ma in base al legame biologico tra gli aspiranti genitori e il bambino.
“La Corte ha ritenuto che le misure controverse (quelle cioè contro cui aveva fatto ricorso la coppia, ndr) hanno perseguito gli obiettivi legittimi di prevenire disordine e tutelare i diritti e delle libertà altrui – recita ancora la nota diffusa poco fa -. Su quest’ultimo punto, ha considerato legittima la volontà delle autorità italiane di ribadire la competenza esclusiva dello Stato nel riconoscere il legame legale genitore-figlio solo nel caso di legame biologico o di adozione legale al fine di proteggere i minori”.
“I tribunali italiani sono andati oltre”
“Viene quindi affievolita – continua Schuster – la dimensione genitoriale a favore dello sviluppo personale degli adulti. Il fatto viene infatti inquadrato come rispetto dei singoli e della loro vita privata. Di conseguenza lo Stato ha il diritto d’intervenire d’urgenza in situazioni di cosiddetto abbandono. Per questo viene sancito che l’Italia non ha ecceduto. Il punto è che si parla di abbandono dal momento che non era stata riconosciuta la genitorialità, ma c’era un passato di vita familiare”. “Per fortuna – conclude l’avvocato – la giurisprudenza italiana e i Tribunali dei minori sono andati oltre. Nessuno si sogna di togliere un figlio per l’assenza di un legame genetico”.
Non è una GPA, è un’Adozione