Il Gruppo Jump, che raggruppa le persone LGBT disabili di Bologna, ha fatto sapere che non parteciperà al Pride di quest’anno. Con un documento molto duro pubblicato su Facebook, Jump denuncia una scarsa attenzione alla questione dell’accesibilità delle persone disabili nella scelta del punto da cui il Bologna Pride partirà. Come negli ultimi anni, il concentramento è previsto al Parco del Cavaticcio, alle spalle del Cassero.
Il documento di Jump
“A livello culturale l’accessibilità è ancora considerata un valore negoziabile, un interesse tra i tanti, anziché un diritto da garantire in partenza – specialmente in una manifestazione che si proclama inclusiva – scrive Jump – (…) L’esclusione di cui parliamo si verifica da anni. Basti pensare che la Salara, edificio che ospita il Cassero, ha barriere architettoniche che rendono estremamente difficoltoso l’accesso autonomo da parte delle persone con disabilità”. Poi il documento torna a parlare del Pride.
“Non parteciperemo al Pride”
“Se in passato abbiamo accettato alcuni compromessi tollerando che il punto di concentramento rimanesse il Cavaticcio (e sperando che questo atteggiamento accomodante avrebbe dato i suoi frutti) – scrivono gli attivisti -, quest’anno ci siamo resi conto del fatto che aver chinato la testa non aveva portato da nessuna parte instillando nei più la convinzione che se ci eravamo arresi una volta, avremmo potuto continuare a farlo anche in futuro. E invece no. Quest’anno abbiamo deciso di cambiare strategia e di non partecipare alla parata. La nostra mancata partecipazione ha un fine polemico e soprattutto etico”.
Jump, dunque, non parteciperà al Pride e non lo farà in netta posizione polemica. Un annuncio che arriva, forse non casualmente, nel giorno in cui la storica associazione bolognese festeggia i suoi 35 anni e in cui si ricordano i moti di Stonewall.
Branà (Cassero): “Condivido l’obiettivo, non la pratica”
“Il problema dell’accessibilità va posto in termini maturi e politici, dentro e fuori la comunità LGBT – commenta a Gaypost.it Vincenzo Branà, presidente del Cassero -. È vero che bisogna farsene carico tutti, ma bisogna farlo in maniera diversa, co-responsabilizzandoci tutti. Condivido in pieno l’obiettivo, ma non la pratica, che colpevolizza le associazioni e non l’amministrazione e che non genera percorsi produttivi”. “Non credo che puntando i piedi oggi – conclude Branà – otterranno qualcosa”.
Anche il Mit è critico
Ma quello di Jump non è il solo malumore che si registra quando mancano pochi giorni alla parata dell’1 luglio. Anche il MIT, Movimento Identità Trans, ha diffuso un documento critico nei confronti del Bologna Pride. “Le pratiche politiche che da sempre portiamo avanti hanno la priorità di far emergere le questioni invisibili e/o invisibilizzate, anche nei loro aspetti più trasversali (prostituzione, migrazione, classe, diritto al lavoro) lavorando nei contesti dove queste si creano e si riproducono – ricorda il MIT -. Le persone trans sono spesso spinte, loro malgrado, ai margini della società. Ricordarlo e battersi per trasformare questo scenario non significa non volersi emancipare dalla narrazione vittimizzante che racconta le persone trans solo come potenziali vittime di un mondo cattivo. Al contrario, significa rispondere attivamente alla logica del “perbenismo” e dell’assimilazione”.
“Niente compartimenti a sé stanti”
E ancora: “La questione trans non va messa in un compartimento a sé stante: non riguarda solo le esperienze di chi trans si definisce, ma investe le visioni e le pratiche politiche di tutte. Da sempre, i movimenti LGBTIQ si sono contraddistinti per la pluralità, la molteplicità e la ricchezza dei dibattiti, delle pratiche politiche, delle battaglie – si legge ancora nel documento diffuso oggi -. Ci piacerebbe che questo Pride fosse pieno di domande come queste. Per noi non c’è orgoglio senza queste riflessioni trasversali. Il MIT non vuole creare fratture o separazioni, ma è parte costitutiva della nostra pratica politica quotidiana porci sempre dalla parte di coloro che vivono ai margini, privat* di dignità perché invisibilizzat*”.
Branà: “Il Pride è la festa delle prime volte: preserviamola”
Una critica a cui Branà risponde invocando la responsabilità, soprattutto da parte delle associazioni più longeve.
“C’è certamente del positivo nel pensare il Pride come un luogo di dibattito e di sintesi – dichiara il presidente del Cassero -, ma facciamo politica tutto l’anno. Il pride è un patrimonio di cui portiamo la responsabilità. È una grande festa di prime volte: della prima volte delle persone che trovano il coraggio di esprimersi in uno spazio pubblico come gay, lesbiche, bisessuali, trans, interssessuali e qualsiasi altra cosa”.
“Chi ha più esperienza, dovrebbe fare un passo indietro proprio per preservare quella grande festa di empowerment che queste persone vivranno – continua Branà -. Abbiamo 12 mesi l’anno per fare dibattiti, discutere, confrontarci e se è il caso anche tirarci le sedie. Per questo lancio un appello alla responsabilizzazione rispetto a quel contenitore che è il Pride ed ha le forme e i connotati che noi abbiamo perché è il nostro specchio. Non siamo snob verso qualcosa che ci assomiglia. Ha dei limiti? Sono i nostri limiti. Ha dei difetti? Sono i nostri difetti”.
“E se è vero che tutto nasce da Stonewall – conclude -, quel tacco fu la reazione alla polizia, certo, ma anche a una società che ti teneva chiuso in un enclave alla mercé della prossima retata. Quella notte la comunità è esondata, è andata fuori. Quel fuori, per quanto problematico, è il nostro patrimonio e la nostra responsabilità. Viva i pride e chi li attraversa anche con conflittualità che è positiva finché non arriva all’autodistruzione”.