Il recente outing ai danni di Francesco Borgonovo, vicedirettore de La Verità, è forse (e al momento) l’ultimo anello di una lunga catena di “rivelazioni” di personalità pubbliche legate a una certa destra. Forse la si potrebbe definire “estrema”. Quella compagine politica, cioè, che sobilla il proprio elettorato contro comunità specifiche attraverso narrazioni oppositive o addirittura demonizzanti.
I casi Szájer e Morisi
Tra gli altri casi possiamo ricordare quello di József Szájer, del partito di Orban – grande alleato di Giorgia Meloni – e autore di una legge che riservava, nella costituzione ungherese, il matrimonio solo alle coppie eterosessuali. Fu beccato, in piena pandemia, a partecipare a un’orgia insieme a molti uomini. Rocambolesca la storia della sua fuga, poi finita con l’arresto da parte della polizia belga. Fino al più recente caso Morisi, di pochi anni fa. Tutti questi episodi sono paradigmatici e non solo perché ci ricordano il valore politico dell’outing.
Il tweet di Parente su Borgonovo
Il caso Borgonovo è recentissimo. Lo scrittore Massimiliano Parente ha pubblicato un tweet in cui racconta la sua amicizia con il giornalista de La Verità. «Diventammo amici, uscivamo a bere, finché non mi confidò la sua omosessualità» scrive «e anche la felicità trovata con un compagno» insieme ad altri dettagli. La cosa ha suscitato un grande scandalo. Sia dentro la destra sia anche dentro lo stesso mondo Lgbt+, dove diverse voci si sono levate contro la pratica dell’outing. Ovvero, quell’azione di solito ai danni di politici o personaggi noti in generale che attaccano la comunità arcobaleno in pubblico, per poi viversi la propria omosessualità in privato.
La pratica dell’outing
Personalmente penso che l’outing, pur essendo una pratica molto discutibile, sia opportuno in certi casi. Non lo è stato, ad esempio, con Paola Belloni, la compagna di Elly Schlein. E che, per altro, non ha alcuna carica pubblica. Non lo è stato per il semplice motivo che non abbiamo notizie di dichiarazioni omofobe, da parte sua. È questo, infatti, il limite che non andrebbe valicato. L’outing è una pratica politica legittima quando coinvolge personaggi che si sono distinti o per battaglie contro la comunità Lgbt+ o per dichiarazioni e posizioni molto problematiche, se non proprio demonizzanti, fino ai discorsi d’odio.
La parabola di Borgonovo contro la comunità LGBT+
Il problema, riguardo a Borgonovo, non è tanto mettere in campo la sua identità sessuale. Cosa su cui nessuno lo attacca. Il problema è che la sua identità – presunta – mal si concilia con la sua parabola politica. Dovrebbe essere, infatti, diritto di chiunque decidere di fare coming out nel momento in cui sente di poterlo fare. Ed è evidente che il mondo di riferimento del giornalista, un mondo apertamente ostile alla causa e alle persone Lgbt+, non predispone ad esporsi. Ma c’è un ma.
Borgonovo non è stato un silenzioso osservatore. Non è stato un qualsiasi giornalista di destra che ha detto la sua su altre questioni che dividono la società tra sovranismo e democrazia, sospendendo il giudizio sulle questioni “arcobaleno”. Anzi, lo abbiamo visto più volte in tv a pontificare contro il DDL Zan, contro il riconoscimento dei figli e delle figlie delle coppie arcobaleno e ha anche scritto un libro contro la fantomatica “ideologia gender”.
Una contraddizione insanabile
Certo, si può opporre un’obiezione: Borgonovo non ha mai detto che non si possa essere serenamente omosessuali. Il suo problema, semmai, è tutto politico e investe il principio di rivendicazione. Ma è proprio in questa dissonanza che sta il cuore di una contraddizione insanabile. Ammettendo che Borgonovo sia gay – e non dovrebbe essere una notizia, in un mondo migliore – il diritto all’indifferenza (che lui stesso contraddice quando si scaglia contro i diritti civili per le persone Lgbt+) gli è garantito dalle lotte politiche condotte da quelle realtà che lui stesso contesta. E le sue stesse posizioni non aiutano certo le persone Lgbt+ di vivere serenamente la propria condizione, pubblica o privata che sia.
Il debito di Borgonovo
Se il giornalista al centro di questa querelle può vivere la sua omosessualità senza che ci sia nessuno che lo prende nella notte per portarlo in qualche campo di concentramento (succede ancora oggi in Cecenia, ad esempio) e se può addirittura non perdere il posto di lavoro nonostante la sua identità – come accadrebbe nell’Ungheria o nella Russia governate da partiti forse più vicini alla sua sensibilità politica – lo deve alle battaglie di un movimento che lui osteggia. Con le sue dichiarazioni pubbliche, con le sue collaborazioni politiche, con i suoi scritti.
Un cortocircuito
È questo il cortocircuito che ne determina l’outing. «Il mio privato è, appunto, affar mio» ha commentato il giornalista. E così dovrebbe essere, in linea di principio. Ma se ti schieri politicamente contro le rivendicazioni di una comunità, per altro discriminata e alla quale, almeno in teoria, dovresti appartenere, quel privato diventa la cartina al tornasole di un’incoerenza profonda. Ed è questo il problema. Non l’omosessualità, che sembra essere ancora un dilemma per certa destra. Perché a far distinzioni tra buoni e cattivi, in base all’orientamento sessuale, è proprio la sua parte politica. Qualcuno si è preso la briga di farglielo notare e forse nel peggior modo possibile.