Le sale utilizzate normalmente per i matrimoni civili non si potranno usare per le unioni civili. L’ha stabilito il comune di Brescia, a guida centrosinistra. Per bocca dell’assessore ai servizi demografici e responsabile dell’ufficio matrimoni, Federico Manzoni (Pd), l’amministrazione ha fatto sapere che “rispetteremo la legge senza fare nulla di più di quanto prevede: non è una celebrazione ma una semplice dichiarazione e, stando al testo attuale, non sono previsti riti né fasce. “Applicheremo semplicemente la norma in modo coerente – si difende l’assessore -, se il decreto attuativo non porta a altre interpretazioni la sede sarà diversa da quelle dei matrimoni civili“.
Peccato che nessuna legge stabilisca quali sale un comune debba usare per celebrare i matrimoni civili, naturalmente: sarebbe impossibile che una norma dello Stato si preoccupasse di tutte le potenziali sale che ogni singolo comune può scegliere. L’art. 106 del codice civile, infatti, recita: “Luogo della celebrazione – Il matrimonio deve essere celebrato pubblicamente nella casa comunale davanti all’ufficiale dello stato civile al quale fu fatta la richiesta di pubblicazione”. All’interno della casa comunale è l’amministrazione locale a scegliere quali sale o ambienti destinare ai matrimoni. Così sarà per le unioni civili, tant’è che la Verona guidata da Tosi ha fatto sapere che metterà a disposizione il balcone di Romeo e Giulietta e che altri comuni come Milano e Bologna hanno già messo a disposizione le sale usate per i matrimoni.
A Brescia, invece, no. Ma Arcigay non ci sta. “Queste non devono essere unioni di serie B, non vogliamo discriminazioni e location minori – ha dichiarato al Corriere Louise Bonzoni, presidente del Circolo Arcigay Orlando -, il rito deve avere tutte le caratteristiche di un matrimonio civile. Una coppia omosessuale deve poter scegliere tra le stesse sedi offerte a una coppia etero”.
C’è un altro aspetto che l’assessore non ha considerato ed è il comma 20 della legge sulle unioni civili. A quel comma si legge: “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”. La disposizione si applica, com’è precisato, anche agli atti amministrativi, alle delibere, alle ordinanze e a qualsiasi altro provvedimento delle amministrazioni locali. Quindi, se un comune ha emesso una delibera che identifica quali sale sono destinate ai matrimoni, questa si estende anche alle unioni civili.
Scoppiata la polemica, Manzoni ha ribadito la sua posizione sul proprio profilo Facebook dove ha scritto che sarebbe stata l’Anusca a dare un’interpretazione secondo cui le unioni civili non devono avere un rito pubblico. La cosa appare alquanto surreale, in realtà. Gaypost.it ha interpellato alcuni giuristi che hanno precisato come, considerato che le unioni civili prevendo la perdita dello stato libero da parte dei due partner, non è possibile che avvengano con rito privato.
Purtroppo, il caso di Brescia rischia di non essere isolato perché sono tante le ambiguità del decreto ponte che possono dare adito a interpretazioni fantasiose, quando non discriminatorie. Dovranno essere i decreti attuativi del ministro Orlando a chiarire definitivamente le cose e a sanare le storture. Intervistato da Gaypost.it, il ministro Orlando ha assicuarto che almeno il primo dei decreti di sua compentenza, arriverà entro fine agosto.