Il tema del bullismo e delle disparità che possono nascere tra i banchi è molto sentito da larghe fasce dell’opinione pubblica. Ne abbiamo parlato a Ferrara, al Tag – Festival di Cultura Lgbt. Nel panel dedicato alle violenze scolastiche di tipo omofobico, se ne è discusso con Luca Morassutto, coordinatore del dibattito e avvocato di Articolo29, Ketty Segatti, vicedirettore centrale dell’Area d’Istruzione che ha presentato una ricerca della Regione Friuli Venezia Giulia sul fenomeno, e con il vicesindaco Massimo Maisto.
I dati prospettati da Segatti sono allarmanti: il 44% del corpo studentesco dichiara di aver assistito ad aggressioni verbali contro adolescenti, prevalentemente maschi, percepiti come gay. il 27% degli intervistati ha subìto direttamente attacchi fisici. Fatti registrati su un campione di 2.138 studenti e studentesse. E l’abuso – che si consuma lontano dagli occhi degli adulti – non finisce a scuola, ma si perpetua nelle nuove forme del cyber-bullismo, ultima frontiera di una violenza di genere che non risparmia davvero nessuno, a prescindere dalla propria identità sessuale.
La risposta al problema è ancora lasciata all’arbitrio di singoli/e insegnanti, nonostante la recente riforma della scuola preveda un capitolo sull’educazione alle differenze. E di certo non ha aiutato la mancata approvazione di una legge contro l’omo-transfobia. Il dibattito scaturito in merito al ddl Scalfarotto, invece, non solo non ha portato all’obiettivo prefissato (la legge giace da tre anni in un cassetto del Senato), ma ha permesso da una parte lo sdoganamento di certe affermazioni, avvolgendole nell’aura della cosiddetta “libertà di pensiero”, dall’altra ha determinato la reazione delle Sentinelle e dei gruppi religiosi più estremisti, ormai in prima linea proprio nelle sedi scolastiche e in nettissima contrapposizione a ogni progetto di educazione alla diversità.
Emerge un quadro complessivo, perciò, per cui una politica assente o inadeguata a risolvere certe criticità fa parte integrante del problema, in funzione di elemento aggravante. Tocca all’associazionismo, quindi, trovare una soluzione. Attraverso l’ascolto, il monitoraggio e la formazione. Da segnalare, a tale proposito e tra le tante, la lodevole iniziativa di Arcigay Torino – Ottavio Mai, che attraverso il gruppo True Colors offre un programma di formazione a ragazzi e ragazze dai 16 ai 21 anni, al fine di «sviluppare risorse per fare fronte a varie forme di discriminazione e violenza (verbale, psicologica, fisica)» nei confronti delle persone LGBT o ritenute tali. Da segnalare, ancora, il progetto Bye bye bulli, guidato dall’associazione Frame di Bologna – grazie al supporto di Lush e con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e del Comune di Modena – con lo scopo di creare una comunità solidale sulle tematiche dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale.
Iniziative come quelle delle realtà citate denunciano un dato sociale e politico insieme: l’esistenza di un fenomeno e il bisogno sempre più urgente di risolvere la questione. Dovrebbero accorgersene, a questo punto, anche le istituzioni di più alto rango, per il benessere scolastico e umani di migliaia di adolescenti. Sempre che non si voglia passare dal ruolo di attore sociale di riferimento a elemento che rende più grave la cosa.
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