Le vessazioni vanno avanti da un anno almeno, da quando tre compagni di classe di un ragazzino di origine marocchina che frequenta una scuola di Padova, gli avevano rubato il cellulare appropriandosi del suo profilo Facebook e scrivendo “Sono gay e voglio dirlo a tutti”.
La derisione basata su un orientamento sessuale usato come insulto, è diventata presto violenza fisica. La notizia è riportata dal Mattino di Padova secondo cui sempre gli stessi tre studenti della scuola, qualche sabato fa hanno chiuso il compagno in un angolo della palestra, lo hanno legato con le corde per il salto e frustato con altre corde.
Il ragazzino ha urlato chiedendo aiuto fino a quando il professore si è accorto di quanto accadeva ed è intervenuto fermando i tre picchiatori. Contro i tre, già dopo gli insulti omofobi erano stati presi alcuni provvedimenti.
Ora, convocati i genitori di tutti i ragazzi coinvolti, si ragiona su che punizione infliggere ai tre, evidentemente recidivi.
Il filo che lega tutte le forme di discriminazione
Una storia tremenda, per la vittima di tanta violenza e discriminazione. E anche una storia che, ancora una volta, sottolinea il filo rosso che lega tutte le forme di discriminazione. In questo caso, quella razzista e quella omofobica. Il ragazzino, a quanto pare, è stato preso di mira perché di origini straniere e per sbeffeggiarlo, almeno in una circostanza, hanno usato l’omosessualità. E non la sua omosessualità (che certo non avrebbe reso meno grave il gesto), ma l’essere gay come categoria, e il coming out.
Una storia, di nuovo, che non fa altro che denunciare come il contrasto al bullismo nelle scuole non può prescindere dalla lotta all’omofobia, specialmente tra i giovani. Checché ne dicano coloro che agitano il “gender” come una sorta di arma nucleare lanciata contro i ragazzi e le ragazze.