Il pride month è già bene avviato e molte sono le piazze che in Italia e all’estero sono state invase dall’arcobaleno. Se ne è accorto, già da qualche anno, anche il mondo del business. Sempre più spesso possiamo vedere come, dentro gli stessi cortei, abbiamo carri e delegazioni di realtà finanziarie e commerciali – dalle banche ai gruppi di Google – che manifestano la loro solidarietà. Aspetto che, da una parte, viene registrato come un progresso: quello della quotidianizzazione della questione Lgbt. Dall’altra, invece, genera diversi mal di pancia.
Ha già fatto scalpore l’iniziativa della Coca Cola che, per la parata del Milano Pride, ha deciso di lanciare una lattina speciale. Essa recherà la scritta Love e, all’interno di essa, campeggerà un arcobaleno. «L’azienda sarà in Pride Square» riporta Repubblica.it, «con un corner (Largo Bellintani – angolo via Lecco) dove tutti potranno celebrare l’amore, in tutte le sue forme, con una foto da condividere online con l’hashtag #LoveIsLove e ricevere subito la lattina Love a edizione limitata».
Annalisa Fabbri, direttore marketing di Coca-Cola Italia, per l’occasione ha dichiarato: «L’uguaglianza e la diversità sono estremamente importanti nel definire quello che siamo come brand e come azienda. Coca-Cola è il brand di tutti, in tutte le possibili diversità. Le lattine “Love” sono la perfetta occasione per usare il nostro famoso logo per esprimere una semplice quanto forte idea di uguaglianza». Ma non è, questa, l’unica realtà che si è affacciata sul viale dell’arcobaleno.
Anche nel mondo della moda, infatti, abbiamo segnali in tal senso. Gap, per l’occasione, ha lanciato una serie di prodotti in vendita nei suoi negozi dal 29 maggio al 7 luglio: un cappellino, una t-shirt e una borsa in cui possiamo trovare alcune frasi e il marchio della catena in versione rainbow. Il progetto è stato concordato con United Nations Free e Equal Campaign e per ogni pezzo venduto saranno devoluti 5 dollari a queste realtà.
Eppure tutto questo non piace a chi, dentro il movimento Lgbt, imposta la propria azione politica nel segno di una critica profonda al capitalismo e al modello neoliberista e integrazionista. Visione, quest’ultima, sicuramente non condivisa all’interno di tutte le identità che fanno parte della composita community arcobaleno, ma che di certo ha il diritto ad esprimersi. D’altro canto, invece, c’è chi vede come un progresso il fatto che sempre più realtà si aprano alle istanze egualitarie. Insomma, essere “normali” è un bene? O si tratta solo di pinkwashing? Il dibattito è aperto.
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