Si chiamava Carolina, aveva 34 anni e il suo corpo è stato trovato ieri privo di vita nel suo appartamento di Genova. L’ipotesi a cui gli inquirenti stanno lavorando, è che si sia trattato di un omicidio, anche se sul cadavere non ci sarebbero segni di violenza tali da far pensare ad una colluttazione. Carolina, infatti, è stata trovata avvolta in una coperta psorca di sangue e, a quanto pare, la sua morte risalirebbe a qualche giorno fa. Nessuna ipotesi, per il momento, su chi possa essere il potenziale assassino né l’eventuale movente.
È, purtroppo, l’ennesimo caso di persona trans (forse) uccisa in Italia nel 2016, anche se ancora non si può dire quale sia la matrice dell’assassinio. Per Carolina però sembra non esserci pace neanche da morta. Sulla sua pelle, infatti, si sta consumando il solito vilipendio della dignità di una persona che non è neanche più in grado di difendersi.
Perché Carolina era una trans e veniva dall’Equador. Il solito, dicevamo, perché ormai è un triste refrain al quale pare non si riesca a porre fine. Molti siti di informazione locale, infatti, riportano la notizia parlando di “un transessuale” quando non addirittura di “un uomo”. Il fatto che la foto di Carolina ritragga palesemente una donna, non ha fatto sorgere il benché minimo dubbio, a chi ha scritto articoli e titoli, sul genere da usare parlando del caso che la riguarda. Transessuale, per di più prostituta secondo alcune fonti (smentite da una parente stando alla quale, invece, faceva la badante), Carolina non meriterebbe il rispetto minimo che si deve ad ogni essere umano, quello che impone di parlare delle persone rispettando il genere a cui sentono di appartenere, evitando di diffondere dettagli che non solo non sono funzionali alla notizia, ma che nel caso delle persone trans si trasformano in una umiliante violazione della privacy.
“Un uomo di 34 anni è stato trovato morto nella propria abitazione” iniziava l’articolo di Primocanale.it di ieri sera, poi cambiato in “un transessuale” (ovviamente, al maschile). “Il corpo del giovane, (preferiamo non riportare il nome assegnato alla nascita, ndr), transessuale di origine ecuadoriana, che a quanto risulta si prostituiva sotto il nome di ‘Carolina’(…)” continuava Primocanale.it. Non fa meglio il Secolo XIX, autorevole testata genovese, che nel primo articolo di ieri sera nel titolo parlava di “transessuale morto” e coniugava tutto l’articolo al maschile, mentre nell’aggiornamento di oggi tenta il cambio di rotta, senza riuscirci: “Transessuale trovata morta al Lagaccio «Era depressa per la morte del padre»” recita il titolo, mentre nel pezzo è un mix di maschile e femminile. Anche in questo caso si riporta il nome maschile e “Carolina” viene definito soprannome. E ancora, Genova Today ieri scriveva “Un 34enne è stato trovato morto in un appartamento in via (omissis), traversa di via del Lagaccio. La vittima è (qui, di nuovo, il nome al maschile), transessuale sudamericano” e nell’aggiormamento di oggi scrive: “…conosciuto nell’ambiente della prostituzione con il nome di ‘Carolina’”.
Come se “Carolina” fosse un vezzo, una specie di nome d’arte, un paravento dietro cui mascherare la vita da prostutita (ammesso che la facesse davvero, cosa smentita da una parente, come abbiamo già detto) e non la sua vera identità, quella che la rappresentava perché consona al genere percepito, differente da quello di nascita che il nome assegnatole da bambina, invece, insisteva a tenere in vita, nonostante lei. Lo abbiamo scritto decine di volte e non ci stancheremo mai di farlo: è una questione di rispetto della dignità delle persone, non un orpello stilistico. Vi siete mai chiesti, se siete uomini, come vi sentireste se qualcuno parlasse di voi al femminile o, se siete donne, se qualche organo di informazione raccontasse un fatto che vi riguarda parlando al maschile? E, ancora, questo non basta ad immedesimarsi nei panni di chi con il genere di nascita vive un conflitto interiore ed esteriore che dura fin da bambini e bambine e si conclude solo in età adulta, spesso, una volta affermata la propria identità. Rispetto, dicevamo, non vezzo eccentrico in cerca di un nome che sia più accattivante. Un rispetto che ancora alle persone trans viene negata, trasformando le notizia in forme di violenza. Un’altra.
(N.B.: non abbiamo volutamente incluso i link delle notizie a cui abbiamo fatto riferimento a causa del linguaggio utilizzato. Chi volesse, trova nell’articolo tutti gli elementi per risalire agli originali. Per le ragioni esposte nell’articolo, abbiamo cancellato il nome di nascita dagli screenshot)
AGGIORNAMENTO: a seguito delle diverse segnalazioni indignate giunte alla redazione del Secolo XIX, la testata ha risposto così sulla sua pagina Facebook: “Cari amici, in merito alle osservazioni che avete fatto sull’uso errato del maschile nell’articolo, vi comunichiamo che la prima scelta è stata quella di utilizzare il genere più diffuso nel linguaggio comune. Tuttavia, ci rendiamo conto che non sia formalmente e sopratutto “umanamente” il modo più corretto di esprimersi. L’articolo in questione verrà presto modificato con l’utilizzo del genere femminile. Grazie a tutti per la segnalazione”.
Al momento in cui scriviamo questo aggiornamento, però (sono le 18.42), nessuno dei due articoli risulta corretto.