Diciamocelo chiaramente: siamo un popolo che ama le polemiche. Il caso di Valeria Fedeli e la sua “falsa” laurea ce lo insegna, fino in fondo. Scateniamo tempeste perfette non tanto in bicchieri d’acqua, ma in tazzine di caffè. Vuote, per di più. Senza nemmeno renderci conto che dietro questi scandali a senso alternato, altro non c’è che mera convenienza politica. Agitata da personaggi che poi, in cabina elettorale, non ci si sognerebbe di votare (chi da una parte, chi dall’altra). Ma andiamo per ordine.
Cosa è successo? Valeria Fedeli viene nominata ministra dell’Istruzione. Qualcuno si rende conto, quindi, che sul suo curriculum c’è un’inesattezza. Non credo sia un caso che quel qualcuno sia Mario Adinolfi, esponente di quella gloriosa macchina da guerra spazzata via dagli stessi family day autoconvocati, snobbati dalla chiesa in persona (almeno nelle sue più alte sfere) e i cui numeri, per avere la credibilità necessaria, vennero arrotondati aggiungendo uno zero finale al totale dei partecipanti. Sepolti definitivamente, insieme alle loro critiche, con l’approvazione della pur timida e imperfetta legge sulle unioni civili, al leader del “Popolo della famiglia” si presentava una ghiotta occasione per ritornare sui giornali. Missione compiuta, non c’è che dire.
E cosa c’era di vero, dietro tutto questo? Sul curriculum della neoministra, sul suo sito, c’era scritto: «Finite le scuole mi sono trasferita a Milano per iscrivermi dove ho conseguito il diploma di laurea in Scienze Sociali, presso Unsas». Un errore lessicale, si sarebbe giustificata poi. Dovuto al fatto che quella qualifica, ai tempi, era conferita appunto dalla scuola per assistenti sociali (come riportato da Fedeli, per altro) e quindi, successivamente, equiparata a un titolo di laurea breve. Insomma, si è fatta di un’improprietà linguistica – per altro immediatamente corretta – un mostro di tale portata da coincidere con la figura stessa dell’ex vicepresidente del Senato.
Tutto risolto, quindi? Ovviamente no. Perché da una parte, il popolo dalla facile indignazione – quello che l’altro ieri magari salutava il neo-eletto sindaco Alemanno a suon di saluti romani e mani ben tese e che ieri gridava onestà, all’indirizzo di Virginia Raggi, nella stessa location – continua a soffiare sulle fiamme dello scandalo. Dall’altra, invece, i soliti noti ne stanno approfittando come avvoltoi sulla gustosa carcassa del sistema dell’informazione italiana, dove la bufala ha più valore della verità, per averne la consueta visibilità.
È così, oltre allo scandalo sulla laurea mai presa – che fa leva, paradossalmente, sulla qualifica che c’è – si aggiunge il sentito orrore per lo spettro del “gender”, che grazie alla neoministra farebbe di nuovo capolino nelle nostre scuole. Non è, nemmeno questo, un caso che personaggi del calibro di Eugenia Roccella, ex sottosegretaria alla Salute dall’alto della sua laurea in Lettere, si scaglino con analoga veemenza sulla collega parlamentare.
«La Giannini è stata rimossa perché non aveva santi in Paradiso e anche per fare spazio alla senatrice che ha firmato la proposta per l’introduzione di una cultura gender nelle scuole: non c’è mai fine al peggio» sono, ancora, le parole di Giorgia Meloni. Colei che ha fatto il ministro (al maschile, a proposito di “gender”) della Gioventù, pur dando l’impressione di avere dimenticato la sua, di gioventù, incazzata com’è. Ma appunto, al peggio…
E a seguire, basterebbe leggere su Twitter il lamentoso canto di sentinelle in piedi et similia, che paventando trasformazioni di massa dei loro pargoli in guerriere Sailor. Lamentazioni che restituiscono la sensazione di un disagio umano profondo, rintracciabile nella loro reale incapacità di fare i conti con l’esistenza di sessualità altre, oltre la loro, e per di più felici e risolte (e forse è questo che certa gente non riesce a perdonare, se vogliamo parafrasare Foucault).
Ecco, quando i miei amici e le mie amiche – anche interni o vicini alla comunità Lgbt – agitano le sirene dell’indignazione di fronte a tutto questo, mi verrebbe da chiedere: è a questa gente che si vuole dar credibilità? Perché a gridare insieme l’urlo intonato da altri, si dà visibilità ad esso e a chi ne ha determinato la regia. Inevitabilmente.
E si badi, questo non significa che Valeria Fedeli sia esente da critiche, ma queste dovrebbero intervenire su alcuni fatti specifici. E cioè: non sul fatto che non è laureata – anche persone non laureate possono essere ministri e la laurea non è indice di capacità, basti vedere chi era l’ex responsabile di viale Trastevere, tale Stefania Giannini, o l’ex ministro degli Interni, al secolo Angelino Alfano – ma se è all’altezza del compito affidato. E per fare questo bisognerà valutarne gli atti. Su quelli, su come si comporterà politicamente, non ci saranno sconti. Ma smettiamola di vestire i panni delle groupies degli avanzi da ventennio, che palle!
comunque la ministra si autocertificava laureata e non lo era. Con il suo corso di studi (tre anni di magistrali)non avrebbe avuto e non avrebbe ora accesso all’universita’. Quindi niente laurea breve o lunga che sia. Il diplomino che ha preso presso uno scuola privata non e’ mai stato equiparato a una laurea breve. Puo’ essere la donna piu’ in gamba dell’universo ma non e’ laureata. Perche’ fare disinformazione? Che cosa ve ne viene? E non fatelo passare per un lapsus calami.